martedì 8 dicembre 2009

Ciao amore mio peloso

Ciao amore mio peloso.

Sei nata sotto il sole di agosto mentre dal cielo cadevano stelle e il giorno del mio compleanno sei venuta a casa con me.
C'era una cucciolata di micetti rossi, grigi, tigrati e neri, tutti bellissimi, tutti già presi in braccio dai loro futuri padroni, solo tu restavi nel cartone, guardavi in alto, buona buona, e io dissi "Voglio lei". In casa nostra non c'era nulla per te e andammo insieme a fare shopping: lettiera, ciotola, trasportino e tra gli scaffali del negozio facesti finalmente sentire la tua voce.
Micia chiacchierona.

I cuccioli di casa giocano rincorrendosi la coda nel bidè, tu lo facevi in una ciotola d'argento; hanno un collarino con sonaglio, per il mio matrimonio ti mettemmo un bel fiocco bianco al collo; mangiano per terra, tu sempre a tavola con noi e negli ultimi anni avevi scelto il mio ginocchio, dove aspettavi il tuo turno.
Gattostoviglie.

Compravo mezzo pollo e ce lo dividevamo: la polpa succosa a te e gli ossi da rosicchiare a me poi, buttati i resti, dovevo coprire la spazzatura con qualcosa di pesante per impedirti di rumarvi dentro e continuare il pasto. Mi è capitato, tuttavia, di trovare ossi in giro, sotto il lettone, confidavi nel mio sonno pesante. Rubavi il cibo da tutti i piatti, a mia nonna rubasti un'intera bistecca per mangiartela con soddisfazione sotto una poltrona della sala, anche le torte al cioccolato ti piacevano, le pizzelle, i gelati, una volta afferrasti con i denti la mia fetta di tacchino e fuggisti sotto il tavolo, ti inseguii e, tenendoti sotto il braccio sinistro, ti strappai la preda dai denti, la rimisi nel piatto e continuai a mangiare. Eravamo un po' disgustose io e te: una forchetta in due, una patatina mangiata muso a muso.
Micia famelica.

Quando eri piccola dormivi sul mio cuscino e, quando studiavo alla scrivania, sulle mie spalle. Poi non ti bastarono più e decidesti che sotto la lampada da studio era molto meglio e io cercavo di non occupare il tuo spazio coi miei libri. All'università ti facesti sfrontata e decidevi tu quando dovevo prendermi una pausa per coccolarti, ti acciambellavi sui miei testi, io ti guardavo e ti chiedevo "Beh?", tu mi guardavi e rispondevi "Meh!", dimenticavo le pagine e ti stringevo forte al petto, sotto il mio collo, e la tua soddisfazione era la mia gioia. Ma le nanne più goduriose erano quelle sul divano, nei pomeriggi del fine settimana, non bastavano mai ed ero tutta per te. Hai sempre preferito la mia spalla sinistra, col musetto sotto il collo e la zampina destra ad abbracciarmi. Sotto la copertina si raggiungevano temperature altissime, mi toglievo i calzini e lasciavo uscire i piedi dalla coperta.
In casa con Matteo vigeva per te una regola strettamente rispettata: quando tu dormivi su uno di noi, questi era costretto all'immobilità assoluta, divieto di alzarsi, anche per andare al bagno, e, se squillava il telefono, si parlava sottovoce per non disturbarti.
A Sacile avevi la tua postazione preferita: una scrivania davanti alla finestra e vicino al termosifone, vi ponemmo sopra una copertina in pile e un cuscino, ogni tanto chiamavo Matteo e dicevo "Guarda la Micia", non facevi assolutamente nulla, dormivi e russavi, ma era tanto bello guardarti che ce ne stavamo così, imbambolati, il mento sulla mano, orgogliosi della tua bellezza e appagati dalla tua serenità.
A Fano un posto caldo per te non c'era nello studio, allora mi toglievo la vestaglia, la adagiavo in terra e tu ti ci acciambellavi sopra. All'inizio quante fusa di gratitudine, poi hai cominciato a pretenderlo: ti mettevi ai piedi della scrivania e "Mao, mao, mao, mao", fino a che cedevo, mi spogliavo, buttavo i vestiti ancora caldi per terra e tu eri contenta.
La notte mi salivi sul petto , "prrrr", e nel buio vedevo i tuoi occhioni cerchiati di ombretto bianco, ti accucciavi, riponevi le zampine sotto il petto, a gallinella, e aspettavi paziente che mi svegliassi.
Micia sonnacchiosa.

Eri sempre la prima ad accogliermi alla porta, dietro di te veniva il Pelosetto che si stiracchiava. Matteo dice che sentivi che stavo arrivando con minuti di anticipo.
Qualche volta tentavi la fuga, perché le porte chiuse a te proprio non piacevano, di solito chiacchieravi, contenta di poter parlare finalmente con qualcuno, "Cosa hai fatto oggi Micia?", mi raccontavi la tua giornata e io ti raccontavo la mia "Sai, ho visto proprio un bel gattone qui sotto". Il Pelosetto vuole solo coccole, tu da me volevi di più, mi trattavi alla pari, da gatto a gatto, ci soffiavamo, ci annusavamo, ruggivamo, incrociavamo il collo sul letto. Anche con gli ospiti eri una perfetta padrona di casa, con te il comitato d'accolgienza era al completo, prima li scrutavi dal basso annusando le scarpe, poi salivi sul tavolo per metterti muso muso con i nuovi venuti, infine decidevi: o non ti interessavano e ti ritiravi nei tuoi appartamenti, oppure decidevi che potevano anche andare bene e ti accoccolavi sul divano con noi, magari sulle gambe del malcapitato che sentiva le tue unghiette perforare i jeans e sfiorare la carne e guai a toglierti, altrimenti gambe e jeans erano perduti.
Che caratterino.
Già, carattere ne avevi, una volta il veterinario di Fano, vedendoti impaurita e tutta incollata a me, per rassicurarti, volle farti una carezza e si avvicinò più di quanto tu consentissi. E' stato bravo, bravo davvero a schivare la tua zampata che mirava alla giugulare. Bruno invece eliminò il problema alla radice: eri nel suo garage per una sosta breve e lui doveva passare proprio di lì. Ti vide, minacciosa e soffiosa, con la mente lo avevi già sbranato. Tornò sui suoi passi e preferì fare il giro tutto intorno alla casa piuttosto che scontrarsi con te.
L'apice delle malefatte lo toccasti a Bellocchi: avevi un terrazzo tutto per te ed eri felice perché da lì arrivavi sul tetto e potevi scaldarti al sole sulle tegole. Matteo una volta si affacciò e scoprì che invece lassù ci andavi a fare i bisogni senza il tormento del Pelosetto. Ci volle un pomeriggio intero per ripulire tutto ma io mi ammazzavo lo stesso dalle risate.
In fondo eravamo noi i tuoi complici, come quando in due ti sorreggevamo per aiutarti ad acchiappare le farfalline attorno al lampadario. Avevi due umani al tuo servizio. Oppure quando, durante la nevicata del 1996 a Verona, la prima della tua vita, ti portai nel parcheggio e ti appoggiai sulla Uno della mamma per farti sentire la neve, non ti è piaciuto proprio, camminavi col passo dell'oca scrollando le zampine infreddolite. Poi ti riportai in casa e ti asciugai e riscaldai per benino. Davvero il freddo non ti piaceva. Avrei dovuto comprarti una casa col caminetto e accenderlo solo per te. Sai che ronfate con quel calore?

Come si fanno a descrivere quattordici anni della tua e della nostra vita?
Le fette di tacchino, i rotolini al sole di primavera, i tuoni che ti facevano fuggire nello stanzino o sotto i mobili di cucina, il rumore di scatolette aperte che ti faceva accorrere subito, il tuo sentirmi prima che arrivassi sotto il portone di casa e la tua apprensione quando mi sentivi triste. Chi sa se sapevi cosa erano le lacrime, quest'acqua salata che mi leccavi dal viso e che ti faceva fare le fusa e strusciare il tuo muso contro il mio, mi guardavi con i tuoi occhioni grandi e buoni e tornavo serena.
C'era qualcosa tra me e te.
L'ultima volta ti ho coccolata io, sul letto, ti ho portato una scatoletta di tonno in una ciotola per cena e ci hai tuffato dentro il muso, poi hai stretto i denti e non ne hai più voluto sapere. Il Panico.
La corsa dal veterinario, tu mi guardavi in macchina e miagolavi piano, avevi ancora delle cose da dirmi, il corpo ti abbandonava ma tu eri ancora lì. Sul tavolo ti accarezzavo la zampina, i tuoi grandi occhi dentro i miei e tu mi parlavi ancora. Poi ti ha portata via, giù per le scale, e io non ti ho vista più. La notte si è fatta giorno e poi ancora notte fino a che non sono caduta anch'io nel sonno.

Sento che questo dolore mi unisce ancora a te e non voglio separarmene, voglio tenermelo stretto come stringevo te, coccolarlo, come coccolavo te, nutrirlo dei tuoi e dei nostri ricordi. Mi resta questo, tre unghiette, due crocchini, un ciuffo di pelo.
Adesso è il dolore a tenermi calda la notte, ha preso il tuo posto. Tu che eri con me, su di me, dentro di me. Tu che eri amore puro, calore umano, dolcezza infinita, riempivi le mie braccia e il mio cuore... quanto le ho sentite vuote e pesanti riportando a casa la tua cuccia vuota.
Vorrei ricordarti al sole di primavera, baciata dai raggi. Tutto quello che riesco a ricordare sono i tuoi occhioni spalancati, terrorizzati, e la tua voce a dirmi "non mi lasciare", in un ultimo sguardo infinito.

Sei nata col sole e il sole è stato sempre con te, nel tuo mantello, nei tuoi occhi. Da quando sei andata via la mattina c'è un gran nebbione e di giorno solo nuvole.

Novembre fa schifo.