giovedì 27 novembre 2008

Omicidi di Stato

Quand'è che la storia cambia?

Quali sono le azioni umane che da sole possono mutare il corso della Storia?
Non pretendo di fornire La Risposta: cerco di dare solo Una risposta possibile che nasce dal raffronto di tre fatti storici tra loro simili nella violenza, tre omicidi politici che marcarono una deviazione nel percorso lineare della storia occidentale.

(Vincenzo Camuccini, La morte di Cesare (1804-1805)
44 a.C.: Gaio Giulio Cesare è console di Roma. Alle sue spalle una carriera militare impressionante che gli ha consegnato ricchezze, onori e la stima del popolo romano.
Nel 58a.C., dopo aver stretto una storica alleanza con Crasso e Pompeo, definita dagli storici il Primo Triumvirato, per ottenere l'elezione a Console, intraprende una spedizione in Gallia contro gli Elvezi, colpevoli 
di incitare alla rivolta le popolazioni presso il Rodano. Non si ferma: nel corso di otto anni muove guerra contro i Germani, i Belgi, i Veneti di Bretagna e i Celti di Vercingetorige con un esercito che arriverà a contare dieci legioni. Nel 50 a.C. la Gallia è totalmente assoggettata a Roma e Cesare si riporta ai confini di Roma. Nel frattempo il Triumvirato è morto e il Senato teme la rielezione di Cesare a Console e teme Cesare, favorendogli Pompeo, intima a Cesare di lasciare il comando delle sue truppe e di portarsi a Roma da privato cittadino, svestito della sua carica. Cesare sa che questo significherebbe la sua riduzione all'impotenza e il rischio di un processo civile, oltrepassa in armi il Rubicone, confine dello Stato Romano dichiarando così guerra al Senato e l'inizio della guerra civile contro Pompeo. Nel frattempo a Roma ottiene un trionfo di consensi e attua finalmente una riorganizzazione del mondo romano, da un nuovo censimento alla fondazione di nuove provincie estendendo la cittadinanza, fa erigere nuove opere architettoniche e riordina burocrazia e magistratura. Nel 44 a.C. i consoli sono lui e Marco Antonio, pretori Bruto e Cassio. Quest'ultimo, deluso per la mancata elezione a console ordisce una congiura appoggiata da molti ex-pompeiani. Alle Idi di Marzo, in 
senato, i congiurati si stringono attorno a Cesare e lo uccidono a colpi di pugnale. 
Questo porterà a un ribaltamento delle alleanze politiche e all'emergere della figura di Ottaviano che nel 31 a.C. sconfisse le truppe di Marco Antonio ad Azio decretando la fine della Repubblica romana e l'inizio dell'Impero.
L'orazione funebre di questo condottiero ci è stata consegnata da una penna di indiscusso prestigio: 
William Shakespeare: Giulio Cesare Atto terzi, scena prima.
"ANTONIO: O possente Cesare! Giaci tu sì basso? Sono tutte le tue conquiste, le tue glorie, i trionfi, le spoglie, ridotte a sì piccola misura? Addio. Non so, signori, quali siano le vostre intenzioni, a chi altri debba essere cavato sangue, chi altri cresca tropp'alto: se a me, non v'è ora più adatta dell'ora della morte di Cesare, né alcuno strumento per metà sia degno quanto codeste vostre spade, arricchite dal più nobile sangue di questo mondo. Io vi scongiuro, se male mi sopportate, ora, mentre le vostre imporporate mani fumano e vaporano, di compiere la vostra volontà. Vivessi mill'anni, non mi troverò sì pronto a morire: luogo alcuno non mi piacerà mai tanto, mezzo alcuno di morte, quanto qui accanto a Cesare, e da voi ucciso, i più eletti spiriti, i maestri di questi tempi."

(Jean Paul Laurens (1838-1921) - L'esecuzione del duca d'Enghien nel fossato di Vincennes, il 21 marzo 1804.)
1804: Napoleone, a trentacinque anni, è diventato Primo Console grazie al colpo di stato del 18 brumaio, è circondato da ammirazione e congiure ordite dai realisti finanziati dagli inglesi. Nel febbraio viene scoperta a 
Parigi una congiura e il capo della polizia sospetta di Louis-Antoine-Henri de Bourbon Condé, duca d'Enghien. Questi viene rapito dalla sua dimora a Ettenheim, in territorio tedesco, e trasferito a Parigi dove ammette di essere pronto a battersi nella nuova guerra dell'Inghilterra contro la Francia dell'usurpatore Napoleone. 
D'Enghien firma il verbale ma chiede un'udienza privata col Primo Console. La sentenza è di condanna a morte ma non specifica in base a quale legge l'uomo è stato condannato; viene deliberato che la condanna venga eseguita immediatamente, in violazione a una legge che prevede la possibilità di appello contro ogni sentenza militare; il presidente della corte viene bloccato mentre scrive una lettera al Primo Console per informarlo della richiesta del duca di un colloquio privato. Nessuna comunicazione arriva a Napoleone.
Il duca viene giustiziato la mattina del 22 marzo alla luce di lanterne poggiate a terra, intravede soltanto le sagome del plotone d'esecuzione; quando viene reso noto il fatto una pioggia di accuse cade su Napoleone da tutte le corti d'Europa, il 24, davanti al Consiglio di Stato, il Primo Console si difende attaccando: "La Francia non avrà pace né riposo fino a quando l'ultimo individuo della razza dei Borboni non sarà stato sterminato" e la violenza del suo discorso gli fa riconquistare il favore dei giacobini aprendogli la strada verso l'Impero.
Nel suo memoriale Napoleone commenterà: 
"Ho fatto arrestare il duca di Enghien perché era necessario per la sicurezza, l'interesse e l'onore del popolo francese, nel momento in cui il conte d'Artois manteneva, per sua confessione, sessanta assassini a Parigi. In circostanze analoghe agirei allo stesso modo".
La marchesa di Nadaillac, interpretando l'indignazione che percorse le corti europee all'annuncio dell'assassinio di d'Enghien, compose questi versi in cui la voce è quella di Napoleone:
Je vécu très longtemps de l’emprunte e de l'aumône,     

de Barras, vil flatteur, j’épousai la catin;                              
j'étranglais Pichegru, j'assassinai Enghien,                          
et pour tant de forfaits, j'obtins un couronne.                    
Vissi a lungo di prestiti ed elemosine
di Barras, vile adulatore, sposai la sgualdrina;
strangolai Pichegru, assassinai Enghien
e per tanti misfatti ottenni una corona.

1924: le elezioni politiche si dimostrano un trionfo per il partito di Benito Mussolini: superato il quorum del 25% si vede attribuire il 65% dei seggi e riporta un autentico plebiscito in Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, nel Meridione e nelle Isole. Tuttavia, sull'esito delle votazioni, grava, pesante, l'ombra dei brogli. All'apertura della Camera piovono accuse dagli scranni dirette al Presidente del Consiglio Mussolini, le più 
pesanti vengono proferite da Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario:

"Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni",denuncia le violenze, le illegalità, gli abusi commessi dai fascisti per estorcere il voto e termina il suo discorso con parole drammaticamente profetiche: "Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me".
Il resto è storia fin troppo conosciuta: il deputato fu rapito il 10 giugno e il cadavere ritrovato il 16 agosto in stato di putrefazione. Le accuse si concentrarono contro Mussolini che, in un discorso del 30 gennaio 1925, respinse l'accusa di un suo coinvolgimento nel delitto ma si assunse contemporaneamente la responsabilità di quanto accaduto e del clima di violenza.
"Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!
Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi."
Sulle responsabilità dirette o indirette di Mussolini in questo delitto si è scritto molto e diverse sono state le tesi. 
Unanime il giudizio degli storici che vede, in quel discorso del 30 gennaio del 1925  l'accentramento del potere politico nelle mani di Mussolini, la proclamazione del regime dittatoriale in Italia, una deviazione drastica nel percorso della storia d'Italia e d'Europa.

4 commenti:

  1. Alcune curiosita' se si possono cosi' chiamare:

    La storia ci ha tramandato la famosa frase che Cesare indirizzo a Bruto quando fu colpito a morte, in Latino, mentre si sa con certezza che fu pronunciata in Greco la lingua dell' "High Society" del tempo...
    Vero anche che tanti cantori e storici che hanno nei gli anni e secoli seguenti raccontato l'evento scrivevano tutti in Latino e questo probabilmente e' il motivo per cui la frase fu riportata in Latino.

    Penso sinceramente che il delitto Matteotti sia stato una delle pagine piu brutte della nostra storia ma credo anche che realmente Mussolini non volesse succeddesse quello che poi invece sappiamo accade.

    Dumini e i sui scagnozzi, una banda di delinquenti legalizzati, interpretarono i semplici sfoghi di nervosismo del loro Duce come un' esplicita richiesta di intervento su Matteotti e fecero quello che tutti sappiamo.

    Inoltre avrebbero voluto dargli solo una lezione ma vista la reazione del Matteotti (e chi non reagirebbe quando tentano di sequestrarlo)si lasciarono prendere la mano e con un paio di pugnalate lo uccisero.

    Il Duce si trovo' in una totale situazione di imbarazzo davanti all'opinione pubblica, quel momento che rappresento' poi l'inizio ufficiale della dittatura avrebbe paradossalmente potuto rappresentare la fine del Fascismo...


    Curioso come fai notare tu Marmott che il PNF ottenne un plebiscito nelle stesse regioni che ai giorni nostri il plebiscito lo danno alla fazione esattamente oposta al PNF...
    Ma del resto il Fascismo nel suo aspetto sociale non si differiva assolutamente dal socialismo, del resto il suo capo storico non a caso fu Direttore dell' "Avanti"...

    Ale

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  2. @ Ale: è vero, la frase fu pronunciata in greco ma tramandata in latino.
    Un'altra curiosità, riguardo le tre storie è che Napoleone ammise di essere il mandante, Mussolini non lo ammise mai e i senatori romani avrebbero voluto nascondere il fatto e nascondere il corpo di Cesare ma ormai alcuni dei senatori erano già fuggiti e non si poteva più nascondere nulla.

    Chi lo sa? Magari nemmeno gli assassini di Moro e Mattei volevano davvero ucciderli ma solo dare loro una lezione e mettere paura.
    E' che a volte ci si trova a sorpassare quell'orizzonte degli eventi che non permette più di tornare indietro così come, se Mussolini avesse respinto tutte le accuse a suo carico, avrebbe perduto la stessa sua Base.

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  3. Cara Marmott79, mi spiace non aver più potuto essere presente nelle recenti discussioni, ma ho avuto un periodaccio di impegni. L’argomento dei delitti politici è però troppo ‘ghiotto’ per non trovare un attimo di tempo per un paio di commenti volutamente provocatori.

    Idi di Marzo.
    Ottima la citazione di Shakespeare. Però raccomando anche lo stesso Cesare (De Bello Civili) e Lucano (Bellum Civili) nel senso che il gesto del ‘tirannicidio’ andrebbe letto in questo contesto di discordie interne. A pensarci bene infatti uno dei punti di forza dell’impero romano che seguì fu proprio la concordia dei cittadini e il rispetto della legge (quella dei romani, naturalmente) e l’immagine più forte adesso è diventata proprio l’impero, visto che tutti lo commentano e più o meno apertamente ammettono di averlo studiato o avuto come fonte di ispirazione (esiste una bibliografia, soprattutto in inglese, sterminata).
    Domanda: « … un delitto allora diventa necessario?»

    La fucilazione del duca.
    Talleryrand, mitico ministro degli esteri di Napoleone (ex vescovo, affarista e ovviamente pure donnaiolo impenitente, nonostante fosse claudicante e leggermente curvo, come racconta la maggior parte dei suoi biografi), a proposito della fucilazione del duca disse: «… è peggio di un crimine, è un errore!». Assieme a tante altre frasi da lui pronunciate questa contribuì in modo particolare a tramandarne la fama di grande cinico di cui gode ancora oggi. Indubbiamente fu però un grande cervello. Henry Kissinger lo studiò come politico e diplomatico assieme a Metternich e scrisse il suo primo grande libro: La diplomazia della Restaurazione.
    Ad ogni modo, tra le brume di Waterloo (come avrebbe scritto Lamartine), nessuno si ricordò del povero duca, né pensò tantomeno di averlo finalmente vendicato. Napoleone era stato semplicemente messo in condizione di non nuocere più agli equilibri europei, ma nessuno pensò di metterlo al muro, anzi…
    La domanda provocatoria è: … allora il crimine paga o no?

    Delitto Matteotti.
    Una decina di anni orsono è uscito un libro interessantissimo su Giacomo Matteotti. Erano gli atti di un convegno che si era svolto a Rovigo (Matteotti infatti era nato a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo) che conteneva molti inediti e nuove interpretazioni sulla vicenda della morte. Soprattutto veniva fuori che il deputato era meno idealista o sprovveduto di come pensiamo oggi, nel senso che sapeva leggere e interpretare bene i bilanci dello Stao e di certe società non sempre trasparenti. L’uomo, vissuto per la maggior parte della sua vita in provincia, era un asceta dell’onesta, una vera e propria incarnazione della morale kantiana. Oggi insomma sarebbe stato il meno adatto a far politica…
    La cosa più sconvolgente contenuta nel volume era quella che a uccidere Giacomo Matteotti erano stati certamente Dumini e complici, ma la Monarchia (ovvero casa Savoia) non risultava del tutto estranea. L’ipotesi che si era affacciata era quella che Matteotti avesse scoperto un traffico di petroli organizzato da una società americana operante in Italia il cui maggior azionista abitava al Quirinale. Matteotti era andato addirittura a Londra a trovare i laburisti inglesi che – ovviamente – gli avevano raccontato ogni dettaglio per evitare che la loro società (la BP, per inciso) venisse danneggiata dalla concorrenza sleale americana. Bilanci alla mano Matteotti e gli inglesi avevano scoperto che qualcosa nella gestione della società americana non quadrava…
    La domanda: «… sembra un fuiletton, ma se fosse vero, ce la sentiamo di riscrivere la storia d’Italia?»

    PS. Mi fermo ma, avendo intuito che Marmott79 se la cavi bene con la storia del Cinquecento, butto giù un'altra bella provocazione: si ricorda della ‘notte di San Bartolomeo’ e della morte dell’ammiraglio de Coligny? Se la Francia vesse aderito alla Riforma le guerre di religione avrebbero avuto un esito diverso?

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  4. Ciao Milesalp.
    Idi di Marzo: grazie per il suggerimento: in effetti, pensandoci, il periodo repubblicano di Roma è stato quello in cui i conflitti interni si sono fatti maggiormente sentire. Suppongo sia perché uno stato forte abbia bisogno di una guida certa e autoritaria.
    A volte penso che gli uomini, o la maggior parte, siano come i cani: con la necessità di qualcuno che dica loro cosa fare e come farlo.

    Duca d’Enghien.
    Dal punto di vista politico trovo una forte somiglianza con la messa a morte della regina Maria Antonietta. In entrambi i casi l’indignazione serpeggiò per le corti europee ma si limitò a questo, politicamente l’Europa stava a guardare e cercava di capire la natura del “mostro” (Rivoluzione o Napoleone) per decidere se fosse da combattere o affiancare. Lo stesso Francesco II d’Asburgo, fattosi passare l’indignazione, non disdegnò di concedere al Còrso la sua primogenita affinché se ne facesse una regina.
    Mi fa pensare un po’ alla recente visita del Dalai Lama al Parlamento europeo: è arrivato, ha tenuto il suo discorsetto e i Venticinque (o trenta… non so più quanti siamo) hanno fatto orecchie di mercante. Tutte le polemiche all’alba delle Olimpiadi non sono che un ricordo e il partenariato politico e soprattutto commerciale zittisce i principi di autodeterminazione che l’Europa porta come bandiera (a volte al vento, a volte nascosta).

    No, non ce la sentiamo di riscrivere la Storia d’Italia: è troppo presto, c’è ancora troppo rancore.
    Se fosse vera questa teoria, Mattei avrebbe certo un illustre precursore.

    A proposito delle guerre di religione rispolvero un mio commento postato sul blog di storia di Rino, Babilonia 61: si può notare come si siano sviluppate in seguito alla soluzione del periodo delle Crociate. Fino al 1400 la religione cristiana e la figura del Papa erano un baluardo contro lo straniero che praticava un altro credo, un principio di unità necessario per motivare coloro che si recavano in battaglia, una nobile motivazione e scusa a coprire massacri e ambizioni di conquista.
    Esauritasi la causa crociata la religione restò bandiera ma della diversità e dell’autonomia. Enrico VIII utilizzò la scissione per rafforzare il suo potere interno (non voglio credere che il suo fosse solo un capriccio lubrico), Elisabetta I se ne fece scudo nelle tensioni dinastiche contro la sorella Maria), i Paesi Bassi sfruttarono la tolleranza religiosa per diventare una vera potenza economica e quasi tutti, fino al XIX, secolo motivarono l’espansionismo coloniale con il principio della cristianizzazione.
    Sdrammatizzando un po’, le guerre di religione le vedo come il Derby (Capitolino o della Madonnina a seconda delle preferenze), una volta vince l’uno, una volta l’altro, durante la partita le tifoserie se ne dicono e fanno di tutti i colori e poi ritornano a mescolarsi tornando uomini e non più tifosi.

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