domenica 20 luglio 2008

'Chiotto ranger


Ciccio bello ciccio bello.
Dovevo creare un post per controllare certe cose del feed, in poche parole rimandava tutto in posti in cui non doveva rimandare... Meno male che conosco un bravo ranger che con questi aggeggi tecnologici ci sa fare e ha salvato, ancora una volta, la marmotta dal bosco selvaggio di internet.
Non c'è niente da fare, io con 'sta roba ancora non mi ci trovo e non penso mi ci troverò mai a mio agio, è più forte di me, se avessi tempo trascriverei tutto sull'agenda e tanti saluti al blog.
Tuttavia la tastiera ha i suoi vantaggi: scrivo più veloce, non rischio di ritrovarmi le dita nere per l'inchiostro e il callo dello scrittore si sta riassorbendo (molto lentamente per la verità, credo che me ne resterà sampre una traccia).
Inoltre ritengo che nel XXI secolo si sia dato vero scopo al mezzo del diario.
Generalmente questo strumento viene considerato privato, uno sfogo solipsistico dell'anima... ma ammettiamolo, nel momento in cui si scrive un diario, forse non all'inizio ma con il passare del tempo, arriva il desiderio che qualcuno lo legga... quando scrivevo il mio mi rendevo spesso conto di scrivere sotto censura, ovvero quel tanto che bastava per creare nella mente di un ipotetico lettore l'esatta immagine che io volevo si creasse.
E quando mi è capitato di desiderarne la distruzione mi sono autoimposta di non farlo perché "non si sa mai"
E così lo scopo primario andava a farsi friggere.

Del resto senza i diari non conosceremmo la storia di Anna Frank e così una delle pochissime testimonianze di una vittima del nazismo... senza il diario dei fratelli Goncourt non conosceremmo l'esaltante esperienza delle soirée de Médan e le circostanze che portarono alla creazione e alla concezione di alcune delle più belle pagine della letteratura dell'Ottocento francese.
Perciò ben venga il diario e il blog, ciò che ne è rimasto.

Foto: i fratelli Goncourt

2 commenti:

  1. Il diario non l'ho mai avuto. Più per il timore che qualcuno venisse a scovare tra le mie cose che per la mancanza di desiderio di scriverle. Così, per anni me le sono tenute dentro. Poi un giorno mi ribellai a me stesso e decisi di infilarmi una mano in gola e cercare di prendere quello che si era appiccicato al cuore. Forse ci riuscii, ma non fu facile e non fu facile nemmeno avere la sfacciataggine di rendere pubblico ciò che avevo trovato. Era il primo libro di poesie. Oggi con Internet è tutto più facile. Lo sanno tutti e non lo sa nessuno. Ti registri con un nickname e scrivi. E' una psicoterapia autogena. Scarichi le tensioni e scrivi. Scrivi e scarichi le tensioni. Dopo un po' ti rileggi e ti chiedi: "Ma l'ho scritto io tutto questo?". Sì, lo hai scritto in un momento di trance; vigile, ma pur sempre trance. In trance ho scritto e detto cose che mi fa ancora piacere leggere di tanto in tanto. Non ricordo quale psicologo o psichiatra (conosco la differenza) sostiene che ogni paio d'ore abbiamo qualche minuto di trance. E' importante saperlo, per cogliere l'attimo in cui ti puoi esprimere. Salvo il caso in cui - alla guida della tua automobile - stai per attraversare un incrocio pericoloso. Allora è bene essere vigile, ma non in trance.

    Questo è un esempio delle mie trance autogene. Ora mi sono messo davanti al computer e ho scritto.

    La banda

    Sono giusto in orario. La banda mi aspetta fuori della porta dell’auditorium. “Maestro, maestro, venga, presto, qui in sala non se ne può più. La gente protesta per la musica che non riesce a sentire. Come faremo noi? Ci vuole lei per dire a questi che oggi non si suona musica ma passeri d’argento. I passeri li abbiamo tutti, ma loro non se ne curano. Vogliono la musica, la musica d’estate. Ma quale estate se nei nostri cuori è inverno? Abbiamo cura delle cose nostre e delle cose sue, maestro, ma non ci chieda di avere cura delle cose degli altri. Per favore, maestro, non ci chieda di avere cura delle cose degli altri. Altrimenti ce ne andremo e poi non sapremo più cosa fare senza la sua guida. Ci guidi, maestro, ci guidi fino alla morte. Oggi viviamo felici con lei. Domani non lo sappiamo. E se lei non ci fosse più? Come faremmo? Maestro. Diamo un calcio alla morte e mettiamoci in riga a suonare. La banda continuerà a suonare e tutto continuerà ad andare per il meglio. Avanti, maestro, ci segua. Entriamo in sala e suoniamo. Suoniamo per loro e per noi. Suoniamo per loro e per noi. Grazie maestro. Grazie maestro”. Note di musica. Il pubblico applaude.

    RispondiElimina
  2. Per quanto mi riguarda mi piace l'anonimato... mi lascia maggior libertà. Ti ringrazio di esserti firmato semplicemento pipo perché hai capito tutto subito. Io sono solo una marmotta e per me tu sei solo pipo (questo lo devi aggiungere ai Gianni-Giovanni... ma questo è solo mio).

    RispondiElimina