sabato 21 giugno 2008



Scrivere poesie non è difficile; è difficile viverle.
Charles Bukowski

Ogni essere umano, prima o poi, si ritrova a scrivere poesie.
Sia una immatura composizione per accompagnare fiori
Sia una struggente apertura del cuore vero un mondo spesso sordo
Sia un rabbioso, acidulo urlo di contestazione.
A volte la poesia viene buttata giù, semplicemente, d'istinto, fluisce direttamente dalla mente alla penna, trasmissione di una visione istantanea, non si trattiene, la devi buttare giù in qualche modo perché sai che subito dopo svanirà. E allora prendi carta e penna, se non li hai a portata di mano li chiedi in prestito ovunque tu sia, in spiaggia sotto il sole o a Venezia in piazza San Marco.
Altre volte è una tortura che ti macina dentro, vuoi farla uscire ma lei ti si aggriviglia alle budella e più tiri, più fa male. E' una gestazione complessa che non si risolve. A volte resta là, dove è nata muore. E tace.
Capita poi che le parole non siano nostre ma ci rispecchino perfetamente. Ci si trova a leggere la propria storia scritta da altri. E' piacevole, conforta l'idea di non essere soli. E' sgradevole, spegne la nostra illusione di unicità e ci riproietta nel calderone del già visto, già sentito.
Sono parole vissute,
emozioni condivise,
ci rendono simili e differenti gli uni agli altri,
distinguono gli essseri umani senzienti dalla marea di masticatori e bevitori, aminoacidi sprecati (cit).
Non è necessario vivere ogni poesia, ogni lettura
basta viverne una,
intensamente
totalmente
senza respiro.

Foto: boh, l'ho rubata in giro, se sapete di chi è ditelo.

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