martedì 18 aprile 2017

L'Amica - Clara Maffei e il suo salotto nel Risorgimento


Che libro meraviglioso!
Che donna meravigliosa!
Daniela Pizzagalli ricostruisce a partire dalle lettere private della contessa Clara Maffei il risorgimento milanese, quello straordinario crogiuolo di politica e letteratura che accese per due decadi i cuori di Milano.
Ne "La vita letteraria", scritto del romanziere Roberto Sacchetti in occasione dell'Esposizione Universale di Milano del 1881 la Contessa Maffei viene così descritta:

"Nel celebre crocchio delle contessa Maffei, tutte le arti hanno ormai delle tradizioni, perché da quasi mezzo secolo quei due salottini […] hanno ospitato tutte le notorietà italiane e tutti gli stranieri distinti che sono venuti a Milano"
"Uomini diversissimi per animo, intelletto, occupazioni, diversi nel terreno dell'arte, della scienza, delle convinzioni, degli interessi, s'incontrano in casa della contessa e diventano garbati fra loro, quasi cordiali. Molti non si parlano mai altrive che fra quelle pareti; fuori di là non si conoscono più."

Di lei Honoré de Balzac dice
"Parlava il francese con la grazia e l'eleganza di una parigina, col fuoco e la vivacità di un'italiana. Aveva familiarità con la nostra letteratura (...) Fatta per brillare in pubblico, per produrre effetto nei salotti più brillanti (...) Avrei dato dieci anni della mia vita per essere amato da lei per tre mesi."

Milano stava per esplodere. Nei caffè, nei teatri, nei salotti si incontravano e scontravano i più illustri rappresentanti della vita politica e artistica dell'epoca, nasceva l'editoria come la conosciamo oggi e ognuno apportava il proprio contributo alla causa italiana. C'erano salotti monarchici, altri repubblicani, salotti letterari o musicali ma quello della contessa Maffei non aveva pari per accogliere ogni tradizione e ogni novità con lo stesso delizioso garbo.
Grossi, Hayez, Liszt, Balzac, Manzoni, Verdi e poi Carcano, D'Azeglio, Cattaneo... una sola condizione veniva rispettata nella selezione degli ospiti del suo salotto: erano tutti rigorosamente antiaustriaci.

Quando ebbero inizio le cinque giornate di Milano il 18 marzo 1848 il salotto di Clara era il centro dell'attività letteraria e politica della città, il fervore della Maffei è reale e la speranza di libertà incendia gli animi delle signore milanesi che visitano gli ospedali, organizzano raccolte fondi, fabbricano bende con la biancheria di casa. 
Tutta la prima metà del libro è un ribollire di patriottismo e di speranza, prima mazziniana, poi sabauda, il fermento di quegli anni è tangibile nelle pagine e coinvolgente, sottolineato dai successi di Giuselle Verdi che le fu amico a distanza, anche lui catturato dalla sua irresistibile benevolenza.

La seconda parte del libro è più posata, conquistata l'unità d'Italia il fervore degli anni passati si affievolisce, irrompe la difficoltà della politica del nuovo regno dalle lettere dei suoi amici a Roma, le serate si fanno meno intense ma tutta Milano ancora riconosce alla contessa un ruolo dominante nella vita culturale del paese tanto che fu tra i pochi ad assistere il Manzoni nelle sue ultime ore.

Una donna esemplare, si separa giovane dal marito col quale non ha affinità e intraprende una dolce relazione con Carlo Tenca, letterato, giornalista e patriota italiano, ma nonostante questo mai si osò biasimare la sua condotta morale per questo. Discreta, colta, gentile, civetta quanto bastava per attirare l'attenzione degli uomini ma non abbastanza per suscitare biasimo nelle donne, mise a disposizione dell'Italia casa sua e lì l'Italia vi nacque tra musica, poesie e giornali. Come disse Tullo Massarani al funerale della contessa

"La Contessa Clara Carrara Spinelli Maffei ha in tutto il corso della sua rimpianta esistenza mostrato, senza quasi addarsene e certamente senza ostentarlo, come una donna, pur serbando il profumo di un fragile e raro fiore di serra, possa essere una forza, un impulso, un valore vero e vivo nelle grandi evoluzioni della storia"


IN QUESTA CASA
DIMORO' TRENTASEI ANNI E MORI' IL 15 LUGLIO 1886
LA CONTESSA CLARA MAFFEI
IL CUI SALOTTO, ABITUALE RITROVO DI INSIGNI PERSONALITA'
DELL'ARTE, DELLA LETTERATURA E DELLA MUSICA
FU PURE, TRA IL 1850 ED IL 1859
CENACOLO DI ARDENTI PATRIOTI TENACI ASSERTORI
DELLA INDIPENDENZA E DELLA UNITA' D'ITALIA

lunedì 17 aprile 2017

Felis Mulier - Giovanni Verga


C'è poco da dire su questo testo
Molto... molto poco. La cosa principale è che si tratta di un'opera non pubblicata che forse Verga non avrebbe mai voluto leggessimo poiché in seguito ci rimise mano completamente pubblicandolo con il titolo "Tigre Reale"
Siamo nel 1873, Verga ha passato la trentina e ha già pubblicato Storia di una Capinera con Lampugnani, adesso è nelle mani dell'editore Treves, alla ricerca della ricetta per il romanzo perfetto, l'intento è ambizioso e il risultato... una catastrofe, un orrore letterario che vira pesantemente al comico quando vorrebbe essere tragico.
E' un'opera che si legge con infinita tenerezza, si vede che Verga prova in tutti i modi a sfondare: sceglie un tema in voga, la mondanità russa, la malattia letteraria per ecellenza, la tisi, un linguaggio pieno di aggettivi aulici, sceglie di interpuntare l'opera con epistole nel tentativo forse di rendere più verosimile il racconto e catturare la partecipazione del lettore. Sceglie lo stereotipo della donna gatto e dell'innamorato perduto per compiacere il più possibile il lettore, viaggi in treno, frenesia ma quello che ottiene è un gran papocchio a tratti illeggibile, scoordinato, a tratti parodico dei grandi romanzi ottocenteschi, una macchietta.
E non stupisce che non sia stata pubblicata: questa storia era vecchia ancora prima di essere scritta.

Shakespeare e la Original pronnciation

E' un post segnaposto, interessante come la pronuncia originale della lingua di Shakespeare fosse in costante mutamento al tempo.

Shakespeare: Original pronunciation



Why people enjoy hearing Shakespeare in its Original Pronunciation



David Crystal, author of The Oxford Dictionary of Original Shakespeare Pronunciation talks about Original Pronunciation (OP) performances and their power to connect with audiences today, very few of whom speak ‘Received pronunciation’.

domenica 16 aprile 2017

L'Idea di Medioevo - NON LEGGERLO!


7,23€ spesi per... niente!



Un libro superfluo, utile solo a rimpinguare le casse della casa editrice Donzelli, i 7,23€ peggio spesi in libri della mia vita e una giornata di lettura che è servita solo a procurarmi gastrite.

In realtà la colpa è mia. In quarta di copertina è precisato chiaramente che lo scritto è stato concepito e pubblicato come introduzione al Manuale Donzelli di Storia Medievale ma le promesse erano di capire quale fosse il senso del Medioevo, il suo retaggio, il motivo per cui è importante studiarlo e insegnarlo... bene, queste risposte probabilmente si trovano in un altro libro. Non in questo.

Totale assenza di note
Totale assenza di spiegazioni
I fatti storici vengono citati come patrimonio comune assodato e si deve fare continuo ricorso ad altri testi (benedetta Wikipedia! Quando leggi fuori di casa ringrazi in ogni momento per la sua esistenza) perché si dà per scontato che il lettore sia già al corrente di tutto ma... se il lettore è già un medievista incallito di sicuro non ha bisogno di queste settanta pagine per ampliare le sue conoscenze. Inoltre per più di metà libro l'autore più che inseguire l'idea di Medioevo ci parla delle fondamenta medievali del concetto di Europa e di Europei: Carlo Magno, le Crociate, la cristianità... ma allora cambiategli il titolo e chiamatelo L'Idea di Europa!
Insomma, poche idee e ben confuse, settanta pagine che così, slegate dall'opera principale, non hanno senso di esistere. Per la maggior parte delle pagine viene descritto ciò che il Medioevo NON è e la fantomatica Idea di Medioevo proprio non si delinea.

Alcuni passi sono piacevolmente interessanti ma il testo rimane sfuggente: non solo non approfondisce, non ci si può aspettare questo da un libretto così minuto, ma nemmeno accenna eventi storici che meriterebbero almeno un paragrafo.

Cosa salvo?
- Capitolo terzo: Formazione e sviluppo di un concetto storiografico. L'altalenante concezione negativa, poi positiva, poi di nuovo negativa del periodo medievale nei secoli successivi.
- Capitolo quarto: Secoli non solo germanici né solo romani. Il differente approccio delle popolazioni germaniche a contatto con la latinità ovvero perché i Goti fallirono e i Franchi ebbero successo.
- Capitolo sesto: Il medioevo come infanzia di Europa. il concetto di Europa e di Auropei accomunati soprattutto dalla fede cristiana, un'unione culturale, non politica e non geografica.
- Capitolo ottavo: Il medioevo cristiano. L'accentramento della Chiesa avviene nel IX secolo e  nel XII si pone come potere complementare a quello imperiale rafforzando la sua unità e osteggiando gli indipendentismi religiosi con il denaro con conseguente declino di abbazie come Cluny.
- Capitolo nono: Il medioevo comunale. Interessante soprattutto per quanto riguarda l'Italia, la nascita dei comuni e la loro autonomia garantita da Federico I barbarossa a seguito della pace di Costanza con la Lega Lombarda. la figura del Podestà come professionista e lo spostamento del potere dalla nobiltà alla borghesia di mercanti e banchieri.

In soldoni.
Racchiudere mille anni di storia europea sotto il comune cappello di Medioevo è un'assurdità (grazie... fin lì ci arrivavamo pure noi)
La valutazione negativa del Medioevo avviene principalmente in due epoche per due motivi:
  • Umanesimo 1400-1500: la riscoperta dell'Età Classica è così sorprendente (caduta di Costantinopoli 1453 e conseguente migrazione di studiosi e testi in Europa) che quanto avvenuto nei secoli precedenti viene visto come barbarie, imbruttimento, decadenza e oscurità; nel guardarsi indietro l'uomo del Quattrocento vedeva solo gli ultimi secoli, quelli successivi alla crisi del Trecento, le pestilenza, le carestie
  • Illuminismo 1700: il medioevo viene visto come l'origine del feudalesimo come prevaricazione e disuguaglianza, il sistema che sarà poi abbattuto dalla Rivoluzione Francese, tralasciando l'aspetto principale della società feudale ovvero la reazione alla decadenza del potere centrale romano e la nascita di nuove signorie che avevano anche il compito di amministrare e proteggere i propri vassalli.
E se siete arrivati a leggere fino a qui potete risparmiarvi l'acquisto.

sabato 15 aprile 2017

America - Franz Kafka - Un romanzo che non dovremmo leggere




Il primo romanzo di Kafka che di kafkiano ha ben poco mentre invece ha tanto di Dickens.

No, ok, di kafkiano c'è tanto ma è tenuto a bada, celato dietro l'inaspettato ottimismo, l'intraprendenza del protagonista Karl.


Karl viene per tre volte accusato, per lo più ingiustamente, e tre volte cacciato. Una triplice colpa che lascia spiazzato protagonista e lettore ma è giovane, come è giovane l'autore del resto, si ritiene pieno di risorse, non si arrende, non si abbatte e ogni volta cerca altrove la sua strada, ogni volta si riempie di speranza e si tuffa in una nuova vita, il suo sguardo è rivolto costantemente al futuro e alla possibilità di migliorare la sua condizione (cfr. Dickens), si volta indietro una sola volta, ripensando ai suoi genitori dei quali conserva una foto, poi questa foto viene smarrita e con essa viene smarrita quasi anche la loro memoria.

E' un romanzo strano da leggere dopo aver conosciuto l'autore per opere come Il Processo o Il Castello, c'è ancora la speranza di giustizia: traspare dall'arringa di Karl a favore del fuochista Schubal, dai discorsi che precedono la sua seconda cacciata, quella dello zio ricco e dai pensieri durante il processo sommario della terza cacciata.
Tre volte pare risiedere nel Paradiso e tre volte ne viene cacciato. Poiché il romanzo è un'opera incompiuta non ci è dato sapere se ci sia anche una quarta colpa e una quarta cacciata ma di sicuro alla fine c'è una fuga, finalmente volontaria, che porterà il lettore  in un viaggio verso un'America sconosciuta, fatta di paesaggi naturali, di terre aperte, di nuove speranze... Tutto si interrompe con questo ultimo viaggio, non c'è un finale e l'impressione che ho avuto è che l'autore stesso si sia stancato della sua creatura e l'abbia abbandonata al suo destino per concentrarsi sugli scritti che in seguito lo hanno reso famoso.


Onestamente l'opera procede con difficoltà e non decolla mai. Karl è odioso, non prova empatia per il prossimo e non ne suscita nel lettore. E' presuntuoso, snob, usa affibbiare etichette al prossimo, è permaloso ma troppo presuntuoso per ammetterlo. La narrazione si dipana a scatti, episodi, quadri mal legati tra loro, non è un romanzo ben coeso ma sono piuttosto quattro racconti tenuti insieme precariamente e non credo che Kafka sarebbe contento di sapere che lo stiamo leggendo non tanto perché incompiuto ma per la totale mancanza di una revisione finale che leghi i diversi episodi.


Positivo, molto positivo invece è il mio giudizio sulle descrizioni della scena urbana americana: l'attenzione è rivolta alle persone che si muovono sulla scena più che agli oggetti o all'ambiente, la città americana appare un formicaio di macchine e persone operose, veloci, in constante movimento dentro e fuori dagli edifici. Si avverte la velocità delle macchine nelle scene esterne, il brulicare di persone come insetti e nelle scene di interni l'impressione del movimento e della velocità è, se possibile, ancora più forte, come l'acqua in un tubo scorre più veloce nei punti in cui la sezione del tubo si restringe così nelle scene d'interno tutto sembra muoversi più velocemente, cose, persone e pensieri. 

E' la velocità di questo Mondo Nuovo stereotipato, mai visto dall'autore ma sentito narrare da chi c'era stato. E' all'Hotel Continental che il movimento raggiunge l'apoteosi con decine di persone che vanno o aspettano e quando aspettano si percepisce la fretta, l'ansia quando l'attesa si prolunga, tutto al ritmo di lavoratori, fattorini, ascensoristi, portieri, clienti, tutti indaffarati, tutti risucchiati in un vortice inarrestabile.

Il contrasto di questo eterno movimento con i dialoghi bizzarri e inconcludenti ha l'effetto di una brusca frenata improvvisa, l'opera procede così: accelerazioni e frenate, accelerazioni e frenate e mentre di solito il lettore è portato a saltare le descrizioni per tuffarsi nei dialoghi e nell'azione dei personaggi nella lettura di questo libro si prova il desiderio contrario: il desiderio di saltare il racconto bizzarro per concentrarsi piacevolmente sulle descrizioni, una finestra aperta sull'America immaginata da Kafka.

Il monito per il lettore potrebbe essere quello di farsi i fatti suoi e non impicciarsi delle opere che gli autori hanno lasciato incompiute.


martedì 4 aprile 2017

La leggenda di San Giuliano l'ospitaliere - un gioiello nascosto



Lo shopping compulsivo randomico del black friday su IBS mi ha portato a casa questo gioiellino, piccolo e curato, di Gustave Flaubert.

Nei testi di letteratura francese studiati non se ne fa parola quasi, viene accennato nell'introduzione di Un coeur simple ma niente più. Non aggiunge nulla all'idea che ci si può fare dell'autore ma è una delizia tutta da leggere, proprio perché ricercata e accurata fino ai più sottili dettagli. La concezione e la stesura è un continuo tira e molla: ogni volta crede di essere sul punto di terminarlo e ogni volta ci rimette le mani o viene preso da altri progetti. E poi ritorna alle fonti, riguarda gli appunti, spulcia decine di testi, molti del tutto inutili allo scopo. Infine chiude il progetto e ci consegna un testo di una cinquantina di pagine davvero delizioso.

Sin dalle prime parole il lettore viene catapultato in un mondo surreale, non si tratta di una semplice agiografia: siamo di fronte a un sublime falsario.

Il tono non è quello delle classiche agiografie ma è da leggenda, Flaubert immerge il lettore nel pieno Medioevo, in quello più bello, ricco di luce e avventure, lo fa tramite un linguaggio ricco di arcaicismi e con minuziose descrizioni di aspetti della vita medievale, elenchi di animali, di pietre, popoli, di oggetti quotidiani ormai superati, e poi viaggi e avventure della sua vita da mercenario... sembra troppo? In realtà tutto è dosato con estremo equilibrio, non ci sono parti prolisse anzi, in alcuni punti si desidera che la narrazione si soffermi un po' di più, almeno è quello che ho desiderato io per quanto riguarda le avventure di Giuliano come mercenario ma forse dipende dal mio gusto personale tendente più alla narrazione di gesta che alle storie di Santi.
In tanti momenti della lettura mi sono tornati in mente la Lettera del Prete Gianni del XIIIs. o I viaggi di Mandeville del XIVs. o ancora il Milione di Marco Polo, Flaubert dipinge un delizioso affresco medievale con pochi tratti in quaranta scorrevoli pagine e alla fine poco o nulla importa se la storia di San Giuliano non è stata riportata secondo il canone.

Non c'è in realtà molto da dire su questa opera tranne che per un'appassionata di Medioevo come me è stata sorprendentemente piacevole, piena atmosfere familiari, di rimandi alla letteratura odeporica, cortese... un bel tuffo in un laghetto di ricordi.

Riflessione che c'entra poco ma non posso fare a meno di esporla: pare che una delle fonti d'ispirazione principali dell'opera, se non proprio la fonte d'ispirazione principale, sia stata la leggenda di San Giuliano raffigurata sulle vetrate della cattedrale di Rouen... Come si fa allora a non pensare a Notre Dame de Paris di Victor Hugo, al passo sulle cattedrali, sui libri di pietra, i libri del volgo... 

"Dall'origine delle cose fino al quindicesimo secolo dell'era cristiana incluso, l'architettura è un gran libro dell'umanità, l'espressione principale dell'uomo nei suoi diversi stadi di sviluppo, sia come forza, sia come intelligenza."

La storia che si fa vetro e poi si fa libro e tutti i dettagli che sulla vetrata vengono raffigurati in mille colori o immaginati prendono forma nelle parole di Flaubert e quasi mi dispiace non aver trovato un'edizione accompagnata dalle immagini delle vetrate di Rouen, avrebbe certamente impreziosito l'opera.