domenica 4 settembre 2016

Storia di una ladra di libri - una storia di Parole



Il libro mi fu regalato da mia madre. Ha l'abitudine di regalarmi i libri che ha già letto e tra noi c'è una sorta di patto che vale per i libri così come per i vestiti: se ti piace te lo tieni, altrimenti lo vendi, lo regali, lo butti... basta che non torna indietro.

E' rimasto su di una mensola per un po' di tempo, anni. Ogni tanto lo prendevo in mano, leggevo la sinossi,e lo rimettevo sulla mensola.
In soldoni la sinossi dice che siamo nel 1939, nella Germania nazista, che la ragazza ruba un primo libro, poi un secondo, un terzo... sembra più che altro la storia di un'accumulatrice compulsiva, una di quelle storie che raccontano su Real Time, con una spolverata di nazismo e un pizzico di shoah che ci stanno sempre bene.
Per nulla accattivante.

Invece no.
Invece è un libro di Parole.
Di Parole, di libri, di scritti, disegni, letture, vernici.
Con le parole si combatte, si domina, si ama.
Tra tante parole mancano un "grazie" all'inattesa benefattrice, un "ti voglio bene" alla mamma, le parole dell'affetto vengono taciute lasciando che siano i gesti a parlare.
Parole d'odio che vengono ricoperte e sovrascritte da parole d'amore e speranza, un palinsesto di come il mondo dovrebbe essere e invece non è.
Parole offensive che significano amore.
Parole che assumono fisicità, peso, sostanza, vengono trasportate come fardelli, lasciate cadere con un tonfo, gettate su di un tavolo o per terra dove restano immobili a farsi guardare, un oggetto perturbante che irrompe nella realtà, un nuovo rigurgito di gotico, tutto postmoderno, in cui il perturbante non è più il mostro, lo sciamano, il gatto nero ma la realtà che si palesa, l'ovvio di cui nessuno osa parlare perché chiamarlo per nome significherebbe immediatamente riconoscere la sua esistenza.
E doverci fare i conti.
Dunque... Parole.
Il narratore è onnisciente. Chi meglio della Morte può conoscere passato, presente e futuro?
Il narratore sa già come va a concludersi la storia e goccia a goccia ce lo anticipa. Un po' qui, un po' là.
Cosicché il lettore desidera terminare la lettura del libro non tanto per sapere come andrà a finire ma come verrà narrato il finale, quali Parole verranno utilizzate, quali aggettivi, quali avverbi, quali immagini verranno materializzate tra le righe.
E' l'autore che sgama il lettore avido, quello che arrivato all'ultimo centinaio di pagine va a curiosare il finale per decidere se continuare o no a leggere. O quello che legge freneticamente e senza approfondimenti le ultime pagine perché quello che davvero gli preme è avere un finale per poter poi classificare il libro tra "libri che fanno piangere", "libri a lieto fine", "libri acchiappapolvere".
Fregati!
Zusak ci risparima la fatica, ci svela il finale nel momento in cui ritiene che siamo abbastanza pronti per sostenerlo, nel momento in cui "se siamo arrivati fin lì significa che possiamo anche andare oltre terminando la lettura con un macigno sul cuore". Personalmente ho apprezzato molto, le sorprese non mi piacciono, i colpi di scena mi destabilizzano. Insomma, se proprio devo piangere, ridere, sconvolgermi preferisco arrivarci preparata cosicché posso decidere io quando affrontare il Momento, no che mi arriva durante la pausa pranzo a 20 minuti dalla timbrata del cartellino. Ecco, io sono classificabile tra quegli avidi che al quarto quinto di una lettura va a vedere come termina in modo da decidere io quando e come terminare il libro.

Che poi adesso con tutto questo discorso sulle parole, sulla loro matericità e importanza mi viene in mente Moretti quando si incazza perché "le parole sono importanti"

Ma questa è un'altra storia
E ci torneremo un'altra volta

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