mercoledì 12 ottobre 2011

Cartier Bresson: Una questione di soggetto

Sabato 8 Ottobre 2011. Penultimo giorno per visitare la mostra di Henry Cartier-Bresson al Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona.
Giornata fresca e assolata.
Fuori, un'orda di turisti prende d'assalto la città, teleobiettivi da reporter e borse piene di shopping.
Dentro, una discreta affluenza, silenziosa, a tratti assorta, a tratti distratta.


Nel percorso le fotografie si srotolano una dietro l'altra e una sull'altra. A volte si torna indietro per afferrare qualcosa che a prima vista era sfuggito ma che rimuginando torna alla mente.
Per ogni immagine si fanno strada come un tormentone le stesse domande: 
Chi è il soggetto?
Dove è il soggetto?
Henri Cartier-Bresson 1946
FRANCE. Paris. Pont des Arts.
French writer and philosopher,
Jean-Paul SARTRE. 1946.
In alcune foto, principalmente i ritratti, il soggetto può apparire chiaro: è a fuoco, nitido, in primo piano ma sempre inquadrato nel contesto per lui più rappresentativo o familiare. Così il ritratto del filosofo-scrittore Jean-Paul Sartre potrebbe sembrare una banale fotografia dell'artista ripreso in un qualsiasi luogo di Parigi se non fosse che analizzando meglio la composizione e la geografia del luogo si scopre che il luogo della ripresa è il Pont des Arts a Parigi (e questo ce lo dice lo stesso Bresson nella didascalia della foto), la figura dell'artista è rivolta verso il Palais du Louvre e alle spalle, avvolta nel bruyard parigino, la Bibliothèque Mazarine.
William Faulkner viene ritratto nel giardino di casa sua, distrattamente impegnato a guardare altrove e dietro di lui giocano i suoi due cani; lo scultore Alberto Giacometti è ripreso impietosamente mentre attraversa la strada sotto un'intensa pioggia e Saul Steinberg rilassato in compagnia di un gatto passeggero. Non ci sono flash o luci soffuse, nessuno guarda in camera sorridendo plasticosamente. Le figure ritratte sono assorte nei loro pensieri, in conversazioni con altre persone e rimandano lo sguardo e la mente dell'osservatore (noi) ad altri luoghi, altri soggetti, altre domande. A cosa stanno pensando? Con chi stanno parlando? Cosa stanno guardando?


 Henri Cartier-Bresson 1933SPAIN. Andalucia. Seville. 1933.
Nelle fotografie di paesaggi urbani molto spesso viene da chiedersi se Bresson sapesse davvero fotografare: soggetti in secondo o terzo piano, fuori fuoco, mossi, in un rimando continuo, giochi di sguardi e di rimandi che spostano l'attenzione da un punto all'altro dell'immagine alla ricerca del soggetto nel dipanarsi delle geometrie urbane di linee rette, oblique, curve che a volte sostengono e altre ingannano lo sguardo del fruitore.


Henri Cartier-Bresson 
FRANCE. The Var department. Hyères. 1932.
Talvolta non è tanto il "cosa" o "chi" che importa. E' il "come".
Come - in movimento - a dispetto della staticità dell'ambiente circondante.
Come - assorto - in pensieri che rimandano altrove.
Come - attento - coinvolto emotivamente in qualcosa che si svolge oltre l'obiettivo, oltre la scena, alle spalle del fotografo.
Henri Cartier-Bresson 1969
FRANCE. Haute-Garonne. Toulouse. 
Municipal stadium. 1969.
Semi-final of the French Rugby
Championship, 1st division.
Bègles is playing against Dax.
Bresson sa cosa attira lo sguardo dei soggetti ma non gli interessa. I soggetti osservano uno spettacolo, un personaggio, un evento di importanza storica che assorbe totalmente la loro attenzione mentre per il fotografo ciò che è veramente importante è la reazione dell'Uomo a ciò che accade oltre l'obiettivo. E' la micro-Storia degli uomini che viene ritratta a discapito della Storia degli Eventi e dei Personaggi.


Henri Cartier-Bresson 
BELGIUM. Brussels. 1932.

Altre volte il fulcro dell'attenzione si trova al di là di un muro, una barriera, ed è sconosciuta allo stesso fotografo che tuttavia non se ne cura.


Henri Cartier-Bresson L'Aquila degli Abruzzi 1959 


Tra le tante fotografie poi, una micro-storia tutta per noi.
Ci fermiamo attratti da una didascalia, "L'Aquila degli Abruzzi 1959". Mia mamma la guarda, sorride e racconta la sua infanzia a Ortona, in Abruzzo, quando la mattina del giorno di festa le donne del paese abbigliate di nero portavano le ramine (per noi teglie), piene di ogni leccornia, al forno per la cottura. Per le strade era un frusciare di abiti neri da lavoro, veloci e indaffarati e uno scorrere di profumi misti dolci e salati.


La fotografia non può rendere il suono del frusciare degli abiti né i profumi del forno, né i discorsi delle massaie.


Per quello servono i ricordi e chi li racconta.

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