domenica 25 gennaio 2009

Psicopatologia del libro stampato


La passione per i libri stampati è cresciuta prepotentemente con me.

Ai tempi del liceo mi sono ritrovata, fortunatamente, in classe con alcune persone che amavano leggere, soprattutto classici così, quando si decideva di fare berna, invece di rinchiuderci al Florida, la sala giochi più affollata di Verona durante le ore di scuola, con un paio di miei compagni ce ne andavamo al maneggio, in riva all'Adige, a leggere libri ad alta voce. Quando il tempo invece non lo permetteva la nostra destinazione era il baretto della scuola, gli anziani del luogo bevevano il loro bianchetto e noi, davanti a tazze fumanti di cappuccino, ci inoltravamo in conversazioni letterarie che avevano per soggetti Foscolo e Leopardi.

In realtà non lo consideravo nemmeno "fare berna" ma quasi attività didattica e per me erano più influenti quelle ore di libertà e pensiero delle tante ore sprecate davanti alla prof sorda di chimica durante le quali si accendevano le radioline quando ci accorgevamo che non portava l'apparecchio.

La quinta ora del sabato poi per me era ora buca davvero perché avevo deciso di non frequentare le lezioni di religione, uscivo a mezzo giorno e, invece di affrettarmi a casa, me ne andavo da Gulliver, una meravigliosa libreria in via Mazzini, arredata con divanetti sui quali si potevano gustare assaggi dei libri che da possedere. Da Gulliver mi ritrovavo a spendere buona parte della mia paghetta per iniziarmi a Shakespeare, Goethe, Poe, Mellville.

Uno di quei sabati persi completamente il senso del tempo: tornai a casa dopo ore e beccai mia mamma in macchina al cancello pronta a venire a cercarmi dopo che aveva passato in rassegna tutti i numeri di telefono dei mie compagni di classe. I miei erano sicuramente alterati ma come si fa a tenere il broncio a una figlia che trascorre il suo tempo in libreria?

Un giorno trovai la libreria chiusa, per sempre, al suo posto il negozio della Benetton. Tutte le mie paghette non erano bastate a tenerla in piedi.

Ci sono voluti dieci anni prima che potessi entrare in un negozio della Benetton senza rancore.

I tempi dell'università sono stati i più belli e i più sofferti. 

Belli perché scoprivo autori nuovi, stimolanti e finalmente mi addentravo nel mondo della critica letteraria e della filologia.

Sofferti perché la maggior parte dei testi di studio erano ormai fuori commercio e questo mi obbligava a lunghe ore da trascorrere in copisteria, mortificando l'idea di libro a squallide rilegature a spirale.

Soffrivano i miei libri, relegati a solo contenuto, privi di forma, invidiosi dei loro vicini che si potevano fregiare di copertine vere e titoli sulla costa, riconoscibili alla vista e al tatto mentre i nuovi venuti erano tutti uguali, in una sorta di comunismo intellettuale.

Non resistevo a vederli così.

Ci sono voluti anni, e altri ce ne vorranno prima di completare l'opera ma tutti, a mano a mano, stanno passando sotto la macchina dello scanner per essere poi sistemati e impaginati in Word, formato romanzo 15 x 23, Georgia 10.

Per ridare loro dignità e forma oltre che contenuto.


Ci sono voluti anni e 250 euro ma alla fine di questa settimana mi vedrò recapitare a casa i primi trentatrè libri stampati grazie a ilmiolibro.it e non vedo l'ora di abbracciarli.








martedì 20 gennaio 2009

Ei sarà

La procellosa e trepida

gioia d'un gran disegno,

l'ansia d'un cor che indocile

serve, pensando al regno;

e il giunge, e tiene un premio

ch'era follia sperar;

Alessandro Manzoni – Il Cinque Maggio

 

Me ne sono stata per un po’ a pensare se fosse il caso di scrivere oggi del fatto del giorno.

Poi mi è venuta in mente quella pagina dei diari di Luigi XVI in cui, alla data del 14 luglio 1789, scrisse “Nulla”.

Ho ascoltato per radio il giuramento di Barack Hussein Obama, 44° presidente degli Sati Uniti d’America. Ho fatto in tempo ad arrivare a casa per vedere la fine del suo discorso di insediamento tenuto davanti a duecentocinquantamila persone e davanti al mondo. Sono andata su Facebook (che tanto ormai è citato pure dai giornali, e allora lo cito anch’io) e ho trovato i miei amici commossi.

Ma commossi da cosa?

Non mi capacito di questa attesa messianica che ha travolto il mondo.

Siamo davvero così stanchi che aspettiamo la venuta di un nuovo Salvatore?

Forse che quello che è già venuto non ci è bastato?

Ce lo siamo dimenticato?

Sicuramente, se dovessi immaginare un uomo destinato a cambiare il mondo preferirei che fosse vestito in giacca e cravatta e non di una tunica, oggi, probabilmente, l’uomo in tunica verrebbe additato come un folle.

Ma perché noi che siamo bianchi e italiani poniamo tante speranze in un americano di colore?

Dal settembre 2001 ci siamo resi conto che ciò che accade negli Stati Uniti accade anche in Italia, e la campagna elettorale di Obama è stata una campagna planetaria, ce lo siamo quasi visto in casa a stringere mani e baciare bambini con i suoi viaggi in Europa. Abbiamo commentato, più che in ogni altra elezione presidenziale statunitense, la formazione del suo governo e il suo mangiare in una rosticceria qualsiasi.

Pare davvero che lo abbiamo eletto noi.

E viviamo in questa sorta di aura magica che ricorda tanto le attese dei grandi eventi di ognuno di noi: un concerto, l’esame di maturità, un viaggio.

Ma che ci fa questo Obama?

Che ci ha fatto?

In che modo ci ha stregati?

Non sono portata a giudicare gli uomini per le loro idee e preferisco farlo per le loro azioni.

Per questo prendo di nuovo in prestito le parole del Manzoni e lascerò al mio giudizio di qui a dieci anni il compito di stabilire se la sua sarà stata vera gloria.

Per il momento mi godo la visione di questa folla che inonda Washington, commossa, in attesa.

martedì 13 gennaio 2009

Assenza obbligatoria

Perdonate l'assenza.
Da giorni mi batto contro una carognosa influenza che porto in piedi.
Così, dopo otto ore da trascorrere in ufficio alla scrivania è comprensibile che, tornata a casa, l'unica cosa che desideri sia rotolare nel letto, lamentarmi  e soffocare tra i gatti, guardare il termometro e compiacermi del fatto che con 38 e mezzo vada lo stesso in ufficio da buona stakanovista.

Magari con la segreta speranza di contagiare il titoare e svolgere  una sana azione altruista nei confronti dei miei colleghi.

Ci risentiamo presto: sta passando.

sabato 3 gennaio 2009

Where the Hell is Matt? (2008)

Buon anno a tutti.

Di sicuro i viaggi danzanti di Matt intorno al mondo non sono una novità dopo che sono stati riportati da giornali e televisione.

Lo riporto anch'io su queste pagine come augurio pe un sereno 2009, a passo di danza e tempo di musica.

E' che c'è qualcosa di magico, di ipnotico e commuovente in questo ballerino che percorre il mondo con il suo stacchetto, sempre uguale, sempre sorridente, solo o circondato da bambini, tra monumenti antichi e nuovi, nell'attualità di Panama e dei suoi container, a gravità zero con gli astronauti della NASA o con le ballerine indiane.

Non so perché ma c'è poesia in tutto questo ed è con la poesia che voglio aprire questo 2009, con la speranza che Matt venga a ballare anche qui da noi.