martedì 28 ottobre 2008

Il Gatto con gli Stivali




La fiaba del Gatto con gli stivali viene resa nota per la prima volta da Giovanni Francesco Straparola, autore della raccolta di novelle Piacevoli notti , pubblicata a Venezia nel 1550. La novella s'intitola La Gatta, è ambientata nelle terre di Ripacandida e narra di un bambino, Fortunio, che alla morte della madre Soriana riceve in eredità una gatta mente i suoi fratelli ottengono beni più utili. I fratelli riescono a sopravvivere con quel poco che frutta l'eredità mentre Fortunio patisce i tormenti della povertà, tanto che la gatta, impietosita, promette di aiutarlo. Il felino si reca nel bosco, cattura una lepre e lo porta al re di Ripacandida dicendogli che è un dono di Messer Fortunio. Il siparietto si ripete più volte e più volte la gatta rubacchia da palazzo cibi e bevande per portarle al fanciullo. Tuttavia, il gatto è un animale di natura pigra e indolente così, stufa di quella fatica, convinse Fortunio a gettarsi in un fiume senza vestiti e urlare, proprio in quel momento passò il re con la sua corte e la gatta gli raccontò che il suo padrone, mentre si recava dal re a portargli ricchezze è stato derubato e gettato nel fiume. Impietosito e grato al fanciullo il re lo invita a palazzo e gli da in sposa la figlia. Sorge il problema di dove portare la sposina, che sicuramente si aspetta un castello e non l'ombra degli alberi. Veloce la gattina si precipita nelle campagne, precedendo il corteo nuziale che dovrebbe portare gli sposi nella loro dimora, convince con minacce cavalieri, mandriani e agricoltori a dire che tutto nei dintorni è proprietà di Messer Fortunio, persino il castello abbandonato che troneggia su quelle terre. E' così che la corte avanza e si sistema nella dimora procurata dalla gatta. Straparola poi risolve la questione della proprietà del castello dicendo nel finale che apparteneva a un anziano signore che lo aveva abbandonato e mai più reclamato.

Il tema del gatto industrioso ricompare con le novelle del Pentamerone di Giambattista Basile, già citato nel post su Cenerentola, sotto il titolo "Cagliuso", anche qui il gatto è in realtà una gatta e anche qui non si fa parola di stivali. 

L'incipit ve lo lascio perché è veramente un inno alla verve comica del Basile:

Era 'na vota a la cettà de Napole mio 'no viecchio pezzente pezzente, lo quale era cossì 'nzenziglio, sbriscio, grimmo, granne, lieggio, e senza 'na crespa 'n crispo a lo crespano, che ieva nudo comme a lo peducchio.

I fratelli sono due e, come nella tradizione di Straparola, uno eredita beni utili e l'altro una gatta. Il bosco si trasforma nel porto di Napoli e la cacciagione in pescato, il re è il re di Napoli e Messer Fortunio, il signor Cagliuso, di qui il titolo della novella. Cagliuso riesce a sposare la figlia del re, grazie alla gatta che ha messo in atto le stesse astuzie della sua compare veneta, con la dote della figlia del re si compra un po' di terre in Lombardia dove divenne barone. A questo punto, dove termina la fiaba di Straparola, si fa avanti la morale di Basile: Cagliuso promette alla gatta fortuna eterna, anche dopo la morte ma, quando lei si finge morta, lui non ci pensa due volte e fa per buttarla dalla finestra. La morale è affidata alla bocca della gatta che maledice Cagliuso:

Dio te guarde de ricco 'mpoveruto
e de pezzente quanno è resagliuto.

Arriviamo quindi a Monsieur Perrault e alla sua versione edita ne "I racconti di mamma oca". 

E' lui che consegna alla storia l'immagine del gatto maschio con un bel paio di stivali che spaccia il suo padrone per il marchese di Carabà, ed è lui a inserire nella fiaba la figura dell'orco. Sì, perché tutte le terre di cui il sedicente marchese millanta il possesso sono in realtà di proprietà di un terribile orco, capace di trasformarsi in ogni specie di animale... era evidente che la storia dell'anziano signore scomparso non poteva avere fortuna. Con lusinghe e ruffianerie proprie della natura felina convince l'orco a trasformarsi prima in un leone e poi in un topolino e il gatto, tutto contento della sua opera, gli si avventa contro e se lo pappa.

Il finale di Perrault è quello che preferisco: ovviamente il marchese sposa la figlia del re, il gatto diventa gran signore, continua a dare la caccia ai topi ma solo per divertimento.

C'è da dire che, a differenza delle due precedenti versioni, dove il fanciullo non era altro che uno zoticone ignorante pieno di pulci e preoccupato solo di soddisfare i suoi bisogni primari, questo marchese di Carabà sembra meno ingenuo: Fortunio e Cagliuso tenevano quasi sempre la bocca chiusa lasciando parlare la gatta, le poche parole che osavano pronunciare erano sempre fuori luogo e il più delle volte la gatta li doveva zittire per evitare che tutto andasse alla malora. Il marchese invece parla propriamente e intrattiene il re con la sua eloquenza.

Il gatto è l'animale che per eccellenza ha incarnato, nell'immaginario umano, poteri magici e divini, basti pensare al culto a lui dedicato nell'Antico Egitto sotto le sembianze della dea Bastet. Il mito del gatto con gli stivali trova corrispondenze anche nei paesi scandinavi, popolati dai gatti delle foreste norvegesi. Questi animali si contraddistinguono per avere baffi lunghissimi, coda voluminosa e... un bel paio di pantaloncini: delle coulottes che "indossano" in inverno per proteggersi dal freddo. Le contaminazioni tra testi di diverse tradizioni sono molto frequenti nella letteratura europea, non è da escludere dunque che l'irruzione degli stivali che distinguono la fiaba di Perrault dalle precedenti siano dovuti all'incrocio di testimonianze provenienti dal Nord.

Questo meraviglioso animale compare anche in una raccolta curata da Peter Christian Asbjornsen e Jorgen Moe, una sorta di risposta norvegese ai fratelli Grimm, interessati al folklore della loro terra percorsero la Norvegia in lungo e in largo visitando villaggi per raccogliere le fiabe tramandate oralmente. Il titolo della fiaba è The Cat on the Dovrefjill e narra di un orso chiamati Kitty che mette in fuga dei trolls. Per questo i trolls avranno sempre paura dei gatti. Mi dispiace dire che di questa versione, per ora, non ho possibilità di trattare direttamente.

La testimonianza riguardo il gatto che ho trovato più curiosa è contenuta nell'Edda in prosa di Snorri Sturluson, storico e poeta islandese del XII secolo.

nel capitolo 49 di quest'opera poetica si parla di Freyja che guida un carro trainati da gatti e nel capitolo 46 il gatto fa parte delle prove cui viene sottoposto Thor, dio del tuono per i Germani, che deve riuscire a sollevare un gatto pesantissimo (in realtà un essere mutaforme gigantesco trasformato in gatto) e non ci riesce.

Ecco una traduzione del passo:

Quindi balzò in mezzo alla sala un gatto grigio piuttosto grosso. Þórr gli andò vicino, gli mise la propria mano sotto la pancia e lo sollevò, ma il gatto inarcava la schiena tanto quanto Þórr sollevava la mano. Quando Þórr aveva sollevato la mano più in alto che poteva, il gatto aveva alzato solo una zampa e Þórr non riuscì ad avanzare oltre in questa prova.

Avete mai provato a sollevare un gatto norvegese?
Ricoperto da un foltissimo pelo e dotato di una natura melliflua, il gato sfugge dalla presa, scivola, si travasa da una parte all'altra del braccio tanto da rendere quasi impossibile la presa con un solo braccio.
Chi non ci crede può provare a sollevare il mio e affrontare, come Þórr, la terribile prova del gatto.

Grazie a Mantis - Luca per il prezioso suggerimento relativo all'Edda. Ricambierò.

7 commenti:

  1. Ricordo alcune favole di La Fontaine sul gatto, come "La gatta che cambiò in donna", ma lontane nella memoria.

    La Fontaine non è da trascurare, anche se alle sue favole moraleggianti preferisco il buon Perrault (e Dorè li ha resi tutti e due ancora più affascinanti).

    L'episodio dell'Edda non lo ricordavo.

    Un saluto

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  2. Sempre eccellenti questi post, "Il gatto con gli stivali" una passione per me ed un incubo per mia mamma che ogni sera era costretta a raccontarmi la storia completa senza sconti, ed il gatto passava dal suo nome originale a quello del gatto di mia nonna cioe' "Pero", come l'albero certo, strana gente noi emiliani...

    Bello il link con "Bastet", al mio primo viaggio sul Nilo rientrai a casa con una decina di sue raffigurazioni in alabastro, tra l'altro domani 31 Ottobre si celebra la sua festa...

    La sacralita' del gatto per gli Egiziani era veramente incredibile e del resto li posso capire a me i gatti hanno sempre affascinato, per la loro eleganza, istintivita' e intelligenza...

    Ale

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  3. @ Vautrin: La Fontaine lo trovo un po' troppo moraleggiante, forse perché più attaccato alla tradizione di Esopo, non so. Però vado a darci un'occhiata per vedere meglio di cosa si tratta.
    @Ale: non ti sembra strano che la festa di bastet cada il 31 ottobre, nella cui notte sembra che le anime tornino nel mondo dei vivi?
    Non sapevo di questa ricorrenza ma mi sembra cadere con una puntualità.

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  4. Hai ragione non avevo pensato all' accostamento della festa di Bastet con quella del Capodanno Celtico, il giorno in cui la separazione tra il momdo dei morti e quello dei vivi e' molto sottile...

    Visto che io al caso non ho mai creduto molto, potrebbe esserci un nexus tra Halloween e la festa di Bastet, sicuramente il pensarlo e' suggestivo...

    Ale

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  5. Che mi dici? Non sono i fratelli Grimm a aver inventato queste storie?

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  6. @Ale: la sicurezza non ce l'ho ma una coincidenza è una coincidenza e basta... due diventano indizio e io mi diverto a mettere in moto le rotelle.

    @Elsa: mi dispiace ma i fratelli Grimm non hanno inventato proprio nulla, ma hanno fatto una splendida opera di ricerca e analisi delle tradizioni orali popolari.
    Più che narratori, dei filologhi.

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