giovedì 24 luglio 2008

La Montagna incantata



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E ridendo, confuso, agitato per l'arrivo e per l'incontro, Castorp gli porse dal finestrino la valigetta e il cappotto, la coperta arrotolata intorno al bastone e all'ombrello e infine anche l'Ocean steamships. Poi infilò di corsa il corridoio e saltò sul marciappiede per salutare davvero e, per così dire, soltanto ora di persona, il cugino, saluto che fu senza effusioni come tra persone di modi freddi e riservati.
Thomas Mann – La montagna incantata

Un romanzo dove tutto è simbolo, tutto rimanda a qualcos’altro… la montagna, la pianura, le Alpi, i malati. Il consiglio dello stesso Mann era quello di accostarsi alla lettura di questo libro come a un romanzo d’iniziazione in cui il sanatorio è il luogo in cui si opera l’iniziazione e i malati sono novelli adepti o discepoli.
Il tempo muta nella sua percezione: si dilata, si restringe, diviene protagonista assoluto del racconto e l’effetto prodotto sui personaggi ne diviene l’argomento principale, sono le ricorrenze a segnare il trascorrere del tempo, gli arrivi e le partenze dei degenti, le morti e le guarigioni, rare, solo una ricorrenza viene volontariamente dimenticata: l’anniversario dell’arrivo al sanatorio, l’unica esperienza del sanatorio che si vuole obliare, insieme a tutte quelle della vita al piano.
I personaggi del sanatorio diventano attori di una setta esclusiva, che tende a escludere tutto quello che vive al di fuori con la semplice espressione “Voi non ci capite”. Uomini e donne esistono solo nella loro presenza al sanatorio, nel momento della loro partenza vengono dimenticati, accantonati… anche l’amore più profondo esiste solo tra quelle mura e basta una partenza per spegnerne la fiamma, basta il ritorno per riaccenderla. Uomini qualunque divengono vere personalità da rispettare, appartenenti alla casta.
I suoi amici partono e poi ritornano, Hans non parte, non ritorna, vive sereno della sua rendita in un luogo che non gli chiede di scegliere, non gli chiede di decidere perché altri scelgono e decidono per lui.
Sceglie alla fine. Sceglie di partire per la guerra, anche questa in realtà è una non scelta, era il desiderio di suo cugino Joachim, quello di fare il soldato, ma Joachim, dopo aver tentato, si è dovuto arrendere alla legge del sanatorio che lo ha punito perché ha desiderato andarsene quando non era pronto, quando il sanatorio non lo riteneva il momento. Dunque Hans prende una decisione che non è la sua, e solo grazie a questo lascia la pace del sanatorio e l’isolamento delle montagne.
Non sappiamo più nulla di lui, della sua vita, lo lasciamo subito dopo lo scoppio di una granata in trincea, durante la Prima Guerra Mondiale, lo salutiamo e gli auguriamo buona fortuna.
E’ un finale splendido, completamente aperto… non sappiamo cosa è accaduto in seguito ad Hans, non sappiamo se sopravviverà alla guerra, se i sette anni trascorsi al sanatorio hanno lasciato delle tracce in lui e quali, se ritornerà a fare l’ingegnere per davvero o se resterà sotto le armi, cosa faranno i suoi parenti ad Amburgo al piano, cosa farà lui. Tutto è possibile, tutto può succedere, lì il lettore diventa autore e contribuisce al finale di questa avventura… Hans Castorp continua a vivere nei lettori migliaia, milioni di vite, tutte diverse, alcune simili… Una meraviglia, un vero parco giochi per il lettore, per il lettore come me che detesta i finali, spesso li dimentica e a volte non li legge nemmeno.
Quasi quasi vale la pena di leggere tutte le 687 pagine solo per il finale…

Foto: Da Montemaggiore

2 commenti:

  1. Accipicchia che bella critica! Ma il Corriere della Sera lo sa che in questo blog ci sono critiche come questa?

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  2. Complimenti per il Blog...

    Davide

    http://taccoepunta.blogspot.com/

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