giovedì 24 luglio 2008

La Montagna incantata



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E ridendo, confuso, agitato per l'arrivo e per l'incontro, Castorp gli porse dal finestrino la valigetta e il cappotto, la coperta arrotolata intorno al bastone e all'ombrello e infine anche l'Ocean steamships. Poi infilò di corsa il corridoio e saltò sul marciappiede per salutare davvero e, per così dire, soltanto ora di persona, il cugino, saluto che fu senza effusioni come tra persone di modi freddi e riservati.
Thomas Mann – La montagna incantata

Un romanzo dove tutto è simbolo, tutto rimanda a qualcos’altro… la montagna, la pianura, le Alpi, i malati. Il consiglio dello stesso Mann era quello di accostarsi alla lettura di questo libro come a un romanzo d’iniziazione in cui il sanatorio è il luogo in cui si opera l’iniziazione e i malati sono novelli adepti o discepoli.
Il tempo muta nella sua percezione: si dilata, si restringe, diviene protagonista assoluto del racconto e l’effetto prodotto sui personaggi ne diviene l’argomento principale, sono le ricorrenze a segnare il trascorrere del tempo, gli arrivi e le partenze dei degenti, le morti e le guarigioni, rare, solo una ricorrenza viene volontariamente dimenticata: l’anniversario dell’arrivo al sanatorio, l’unica esperienza del sanatorio che si vuole obliare, insieme a tutte quelle della vita al piano.
I personaggi del sanatorio diventano attori di una setta esclusiva, che tende a escludere tutto quello che vive al di fuori con la semplice espressione “Voi non ci capite”. Uomini e donne esistono solo nella loro presenza al sanatorio, nel momento della loro partenza vengono dimenticati, accantonati… anche l’amore più profondo esiste solo tra quelle mura e basta una partenza per spegnerne la fiamma, basta il ritorno per riaccenderla. Uomini qualunque divengono vere personalità da rispettare, appartenenti alla casta.
I suoi amici partono e poi ritornano, Hans non parte, non ritorna, vive sereno della sua rendita in un luogo che non gli chiede di scegliere, non gli chiede di decidere perché altri scelgono e decidono per lui.
Sceglie alla fine. Sceglie di partire per la guerra, anche questa in realtà è una non scelta, era il desiderio di suo cugino Joachim, quello di fare il soldato, ma Joachim, dopo aver tentato, si è dovuto arrendere alla legge del sanatorio che lo ha punito perché ha desiderato andarsene quando non era pronto, quando il sanatorio non lo riteneva il momento. Dunque Hans prende una decisione che non è la sua, e solo grazie a questo lascia la pace del sanatorio e l’isolamento delle montagne.
Non sappiamo più nulla di lui, della sua vita, lo lasciamo subito dopo lo scoppio di una granata in trincea, durante la Prima Guerra Mondiale, lo salutiamo e gli auguriamo buona fortuna.
E’ un finale splendido, completamente aperto… non sappiamo cosa è accaduto in seguito ad Hans, non sappiamo se sopravviverà alla guerra, se i sette anni trascorsi al sanatorio hanno lasciato delle tracce in lui e quali, se ritornerà a fare l’ingegnere per davvero o se resterà sotto le armi, cosa faranno i suoi parenti ad Amburgo al piano, cosa farà lui. Tutto è possibile, tutto può succedere, lì il lettore diventa autore e contribuisce al finale di questa avventura… Hans Castorp continua a vivere nei lettori migliaia, milioni di vite, tutte diverse, alcune simili… Una meraviglia, un vero parco giochi per il lettore, per il lettore come me che detesta i finali, spesso li dimentica e a volte non li legge nemmeno.
Quasi quasi vale la pena di leggere tutte le 687 pagine solo per il finale…

Foto: Da Montemaggiore

domenica 20 luglio 2008

'Chiotto ranger


Ciccio bello ciccio bello.
Dovevo creare un post per controllare certe cose del feed, in poche parole rimandava tutto in posti in cui non doveva rimandare... Meno male che conosco un bravo ranger che con questi aggeggi tecnologici ci sa fare e ha salvato, ancora una volta, la marmotta dal bosco selvaggio di internet.
Non c'è niente da fare, io con 'sta roba ancora non mi ci trovo e non penso mi ci troverò mai a mio agio, è più forte di me, se avessi tempo trascriverei tutto sull'agenda e tanti saluti al blog.
Tuttavia la tastiera ha i suoi vantaggi: scrivo più veloce, non rischio di ritrovarmi le dita nere per l'inchiostro e il callo dello scrittore si sta riassorbendo (molto lentamente per la verità, credo che me ne resterà sampre una traccia).
Inoltre ritengo che nel XXI secolo si sia dato vero scopo al mezzo del diario.
Generalmente questo strumento viene considerato privato, uno sfogo solipsistico dell'anima... ma ammettiamolo, nel momento in cui si scrive un diario, forse non all'inizio ma con il passare del tempo, arriva il desiderio che qualcuno lo legga... quando scrivevo il mio mi rendevo spesso conto di scrivere sotto censura, ovvero quel tanto che bastava per creare nella mente di un ipotetico lettore l'esatta immagine che io volevo si creasse.
E quando mi è capitato di desiderarne la distruzione mi sono autoimposta di non farlo perché "non si sa mai"
E così lo scopo primario andava a farsi friggere.

Del resto senza i diari non conosceremmo la storia di Anna Frank e così una delle pochissime testimonianze di una vittima del nazismo... senza il diario dei fratelli Goncourt non conosceremmo l'esaltante esperienza delle soirée de Médan e le circostanze che portarono alla creazione e alla concezione di alcune delle più belle pagine della letteratura dell'Ottocento francese.
Perciò ben venga il diario e il blog, ciò che ne è rimasto.

Foto: i fratelli Goncourt

venerdì 18 luglio 2008

La grande illusione




Questo post non ha nulla di illuminato.

Questo post non c’entra nulla con il resto del blog né con il suo titolo.

Questo post è incazzato, deluso, amareggiato, profondamente sconsolato.

Questo post viene scritto sull’onda emotiva dell’espulsione di Riccò dal Tour.

Questo post celebra la caduta degli dèi.

Il primo campanello d’allarme a due settimane dall’inizio del Giro: “Petacchi non parteciperà al Giro perché ha la tosse”.

Dissi a Matteo “Qualcosa non quadra”. C’era qualcosa che non tornava, che rendeva quell’affermazione ambigua, opaca… poco dopo si è scoperto che Petacchi era stato ritenuto colpevole di uso di sostanze proibite.

Al Giro ha vinto lo spagnolo Contador, il vincitore del Tour de France 2007 dopo che Floyd Landis, un mormone col nome di un profumo, ex compagno di squadra si Armstrong, si fece pizzicare dalle controanalisi… ancora lo stanno cercando quello.

Al Giro nessun italiano aveva davvero brillato, sembrava che si fosse chiusa un’epoca, per le strade c’era tanta gente ma io non sono davvero riuscita ad appassionarmi. Sono anni che non sento i brividi al Giro. Qualche sprazzo, sporadico, nessun brivido.

Si dà il via alla Grand Boucle, come al solito il patron invita chi gli va e lascia a casa chi non gli va, Contador resta a casa. Già nella prima settimana Riccò appassiona. Ho l’occasione di vedere una tappa, non ricordo quale, nel week-end… quel ragazzo ha stoffa, fa schifo nelle crono, ma in salita conosce bene il suo mestiere.

Non c’è niente da fare: le tappe in pianura mi annoiano, a meno che non siano illuminate da uno sprint finale. E’ la montagna la vera protagonista del ciclismo, sono le vette a creare gli eroi.

Riccò si distingue in salita e penso: “finalmente un erede”, lo si vedeva dall’utilizzo che faceva dei rapporti, dal cambio passo devastante per gli avversari, dal suo incedere senza incertezze là dove lo sguardo dei suoi avversari chiedeva “come fa?”.

Molto probabilmente non avrebbe vinto il Tour ma avrebbe potuto lasciare un’impronta importante sulla competizione… e invece è stato beccato, proprio nel momento in cui i giornali già vedevano in lui l’erede di Pantani ed erano pronti a erigere altari al suo nome.

Un altro nome nel fango.

Insieme a Petacchi, Frigo, Basso, Bugno, Gotti…tutte le volte si spera che parlino e confessino ma poi fanno scena muta e il circo cambia città. Non parlano perché al massimo si prendono una squalifica e poi ritornano ripuliti, se tornano, gli si dà una nuova squadra, dei nuovi compagni, nuova fiducia, tutto tace e si ricomincia. Cosa succederebbe se al posto della squalifica ci fosse la radiazione? quali interessi avrebbero a tenere la bocca chiusa? Potrebbe essere questo un modo per farli confessare?

Io non ci credo più al ciclismo, non credo alle squadre che escono sempre pulite, non credo agli organizzatori che invitano chi vogliono e non chi merita, non credo nemmeno alle analisi che beccano chi vogliono.

Il giorno prima di Madonna di Campiglio, quando ormai Pantani non si poteva più prendere, Ivan Gotti si lasciò sfuggire il commento “Può ancora succedere qualcosa”, sono parole incise a fuoco nella mia mente. Lui vinse il giro e Savoldelli, promosso secondo, si rifiutò di prendere il suo posto sul podio.

Beccano chi beccano o beccano chi vogliono beccare?

Armstrong ha vinto sette Tour, sette. Non è stato mai beccato. Armstrong portava il Tour in America con tutto il ritorno di pubblico e di sponsor, di proporzioni mai viste nel ciclismo.

Beccano chi beccano o beccano chi vogliono beccare?

Davvero le squadre non sanno niente? Non vedono niente?

Cazzo!!! Questi ciclisti da terza elementare sono meglio di Diabolique, meglio di Lupin, meglio di James Bond.

Diciamolo chiaramente: il doping c’è sempre stato e ci sarà sempre, sin dai tempi di Binda, sin dai tempi di Coppi e Bartali, chi non si dopa non vince perché con delle pendenze al 20% se non ti bumbi non muovi un muscolo.

Allora legalizziamolo, liberalizziamolo e chi ci rimane cazzi suoi.

Devono prendere una decisione lassù: o la pulizia, ma allora devono metterli tutti dentro, altro che Fuentes, oppure lo spettacolo.

E lo spettacolo, si sa, non si può fermare. Non si è fermato per Ratzemberger, non si è fermato per Ayrton, non si è fermato neppure per l’11 settembre.

Viviamo in un mondo di Neroni che suonano la lira mentre Roma brucia.

E io sono la prima ad applaudire… dannata me.

Foto: sapete chi è. Se non lo sapete andate a fare in culo, questo post è sprecato.

mercoledì 16 luglio 2008

Mansfield Park



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Il fasto della casa la sbalordiva, ma non riusciva a consolarla. Le stanze erano troppo grandi perché vi si potesse muovere con disinvoltura; temeva di rompere qualsiasi cosa toccasse e si aggirava quasi furtivamente, nel costante terrore di una cosa o di un'altra, rifugiandosi spesso a piangere nella sua camera.
Jane Austen – Mansfield Park

Sono arrivata al penultimo romanzo di Jane Austen e mi imbatto in Fanny Price.
Adottata dai suoi zii viene allevata in una lussuosa proprietà nella quale verrà sempre trattata con distanza e diffidenza perché di origine poverissima e ignorante. La distanza culturale tra lei e la sua famiglia di adozione le farà assumere un pensiero estremamente moralista e un fare bigotto, per lei non sarà giusto quello che pensa, ma giusto quello che si sforza di pensare.
Le rare volte che le viene permesso di lasciare il suo piccolo mondo di gomitoli arrotolati e letture ad alta voce per la zia rimbambita, si ritrova in un mondo al limite della perversione morale (dal suo punto di vista), dove i fidanzati vengono abbandonati per inseguire uomini senza scrupoli e senza qualità se non quelle meramente estetiche e dove i mariti vengono scelti in base alla loro rendita.
Verrà educata a leggere solo libri moralmente edificanti, il suo pensiero stesso verrà scolpito sull’immagine della devozione e della rettitudine… quanto è diverso questo personaggio dalla libera Elisabeth di Orgoglio e Pregiudizio, una donna che leggeva e viveva troppo, tanto da risultare petulante alle volte, una donna che aveva opinioni su tutto… Fanny non ha opinioni, se non quelle che le vengono suggerite da Edmund, l’uomo del quale si innamora, non ha personalità, se non quella che Edmund plasma per lei.
E’ un personaggio odioso e a un primo approccio c’è da chiedersi come sia potuto uscire dalla raffinata penna della Austen.
Lentamente il romanzo si dispiega ed emergono tra le righe le note di biasimo della stessa autrice che dimostra di non amare il suo personaggio e di non fare assolutamente nulla per farlo amare al lettore. Molto concentrata su se stessa, preoccupata fino all’estremo delle apparenze, fino all’ipocrisia, socialmente è perfetta, personalmente… una scatola vuota pronta a riempirsi all’occorrenza di ciò che gli altri vogliono vedere.
Non è sicuramente l’ideale di donna amabile… è quello che sarebbe diventato, di lì a poco, l’ideale di donna e moglie vittoriano. E’ qui che emerge il lato pungente di Austen, nella critica aperta all’ideale stereotipato di donna che sceglie come protagonista e che fa vincere sulle sue rivali: le due cugine, francamente figure odiose, ancor più di Fanny, stupide e arriviste, e Mary Crawford, l’elemento di rottura nel mondo di Mansfield, quello che porterà alla ribalta i nuovi ideali borghesi che prenderanno sempre più piede nell’Ottocento, quello che sconvolgerà il pacifico mondo rurale inglese con innata seduzione ma che verrà inesorabilmente punito perché, contrariamente a Fanny, si lascia sfuggire i propri pensieri e li confida, finalmente, proprio alla persona sbagliata, il suo innamorato Edmund, che abbandonerà il mondo del sogno, della bellezza e dell’amore per ritornare da Fanny, la creatura che lui ha plasmato secondo i propri desideri, che pensa ciò che lui le ha insegnato a pensare, che legge ciò che lui ritiene opportuno e che infine sarà diventata Edmund più di Edmund stesso.
Confesso il fastidio profondo che mi ha generato questa opera e ringrazio Jane per averla scritta.
Quando anche l’ultimo suo libro sarà stato letto… non mi resterà che ricominciare da capo là dove tutto è nato.

Foto: Sacile

domenica 13 luglio 2008

Ritorno a casa


Credevate, o cani,
che d'Ilio io più non tornassi, e intanto
la casa disertar, stuprar le ancelle,
e la consorte mia, me vivo, ambire
costumavate, non temendo punto
né gli dèi la grave ira, né il biasimo
permanente degli uomini. Ma venne
la fatale per voi tutti ultima sera.
Omero – Odissea

Nella traduzione di Ippolito Pindemonte
Odisseo, valente guerriero, oratore sottile, escogitatore di tranelli. La storia di quest’uomo si dipana attraverso un complesso organico di eventi che hanno plasmato la sua vita e la sua personalità.
La materia narrativa viene dall’incrocio di due filoni narrativi. Il primo è costituito da un viaggio tra contrade remote e favolose, irto di pericoli dai quali riesce a sfuggire grazie alla sua abilità e all’aiuto di Atena. Il secondo è costituito dall’agognato ritorno in patria, la riconquista del suo regno e della sua donna.
Nei primi canti del poema viene descritta l’attuale situazione di empasse: Ulisse prigioniero da sette anni della ninfa Calipso che ne vuole fare il suo sposo promettendogli vita eterna, Penelope, ostaggio dei Proci che vogliono che lei si scelga un nuovo sposo perché Ulisse è dato ormai per spacciato. Negli otto seguenti canti Ulisse, dopo essere sfuggito a Calipso, approda alla terra dei Feaci ai quali racconta la propria avventura, un espediente narrativo molto comune quello dell’inizio in medias res, normalmente una situazione di stasi, o positiva, o negativa, che spinge il protagonista a raccontare i fatti che precedono l’incipit sfruttando una tecnica che soprattutto nel primo Novecento, grazie ai narratori francesi come Gide, tornerà alla ribalta: la mise en abyme, il racconto nel racconto che si dipana come un quadro incorniciato a sua volta da un altro quadro, come l’autoritratto di un pittore che dipinge sé stesso mentre si fa un autoritratto.
I Feaci lo riportano nella sua patria, Itaca, e qui inizia la seconda parte dell’opera: la riconquista del regno in incognito, aiutato da un esiguo gruppo di alleati tra i quali suo figlio dal quale si è fatto riconoscere. I soli a riconoscerlo nonostante il camuffamento che Atena aveva operato su di pui sono la sua anziana serva, che lo aveva nutrito e cresciuto e che conosceva tutto di lui, e il suo fedele cane Argo che ha voluto attendere, seppur in condizioni miserabili, il ritorno del suo padrone e che, dopo avergli dato il benvenuto, spira, finalmente sollevato dall’angoscia.
Più di tutto, più di tutte le avventure, sono questi due personaggi che hanno sempre avuto per me la massima attenzione, i soli a credere subito e incondizionatamente al ritorno dell’eroe, i soli a non essersi mai davvero perduti d’animo, i soli a prestare una fiducia incondizionata e totale. I soli a “sentire” Ulisse prima che vederlo.
Si tratta dei passi più commuoventi del libro, tra quelli più ricchi di emotività dell’intera letteratura e la cosa meravigliosa è che sono brevi brevi, tanto da obbligare il lettore a leggerli, e poi rileggerli, e poi leggerli ancora perché non si sazia il desiderio di emozionarsi, perché la loro bellezza e perfezione sta nella concisione, nel toccare la vetta più alta dell’emotività con poche, semplicissime parole. Come una poesia di Ungaretti apre moltissime possibilità di interpretazioni e suggestioni, questi passi raccolgono in loro tutta l’essenza dell’emozione di cui si fanno portavoce e regalano al lettore due minuti di pura poesia che vale la lettura dell’intero testo.

Foto:una strada, a Urbino

venerdì 11 luglio 2008

Dall'altro capo del mondo



Risalire quel fiume fu come viaggiare a ritroso verso i luoghi più lontani del mondo, quando la vegetazione impazzava sulla terra e i grandi alberi regnavano sovrani. Una corrente deserta, un grande silenzio, una foresta impenetrabile. L'aria era calda, densa, pesante, stagnante. In certi momenti il passato tornava alla memoria, come capita a volte, quando non hai un attimo di respiro; ma tornava in forma di sogno inquieto e tumultuoso, ricordato con stupore fra le soverchianti realtà di quello strano mondo di piante, e acqua e silenzio. E quella immobilità di vita non somigliava minimamente alla pace. Era l'immobilità d'una forza implacabile che covava imperscrutabili propositi. Ti guardava con un'aria di vendetta.
Joseph Conrad – Cuore di Tenebra


Le porte dell’aeroporto si aprirono e fummo investiti da un’onda di profumi, caldo, umido, colori, voci, rumori.
Venivo dall’inverno, vestita di lana soffocavo e credevo di morire… dopo poco la sensazione di disagio scomparve, non sentivo più i trentasette gradi umidi perché fui rapita dal vortice di novità che si apriva ai miei sensi.
Non avevo mai visto colori uguali, compresi finalmente quello che provò Monet al suo arrivo in Italia, la sua paletta di colori non bastava più e la gettò per acquistarne di nuovi che potessero esprimere al meglio la realtà che si dispiegava davanti ai suoi occhi.
Ci venne a prendere un pulmino che, dopo un’attesa che pareva interminabile, cominciò il suo cammino. Appiccicata al finestrino non realizzavo ancora di trovarmi in capo al mondo, c’erano strade, c’erano macchine, c’erano negozi ma con scritte in una lingua che non conoscevo. L’aria condizionata all’interno impediva al nuovo mondo di rapirci e fu come una graduale immersione. Mucche camminavano autoritarie e indolenti sul nostro cammino, era giusto così. Uomini con strani cappelli portavano grosse bilance sulle spalle, ricolme di frutta e ortaggi, camminavano a passi piccoli e svelti. Dall’alto giungeva lo sfrigolio dei cavi elettrici, inquietante.
Non ci hanno rivolto una parola, noi dietro a esplorare il mondo dal finestrino, gli autisti parlavano tra loro, fermavano il mezzo, scendevano per acquistare sigarette; la totale indifferenza nei nostri confronti mi faceva pensare a un carro funebre, non si parla con il morto.
Era bello stare soli così, ignorati, nessuna conversazione di convenienza, nessun “Come è andato il viaggio”, nessuna frase di circostanza, potevamo vivere appieno la nuova esperienza.
Ci fermammo definitivamente, eravamo giunti in Paradiso, si aprirono le porte e di nuovo fummo investiti dall’ondata tropicale. Adesso era piacevole, adesso l’avevamo compresa.
Continuai ad avere allucinazioni visive e olfattive per almeno tre mesi dopo il mio ritorno, la mia mente non voleva tornare, era ancora lì, vedeva e sentiva dall’altra parte del mondo.
Anni dopo l’onda tropicale distrusse il Paradiso, riportando alla luce ricordi allontanati ma mai rimossi. Troppa bellezza racchiusa in un solo luogo. Sono rimaste le mucche a camminare per strada.

Foto: Monet, Giardino acquatico

domenica 6 luglio 2008

Ottobre piovono libri





Ho delle mie letture un ricordo impreciso, simile a quello dei paesi che ho attraversato e che riconosco senza sapere cosa me li fa riconoscere.
Edmond de Goncourt - Diario

Anche per Ottobre, piovono libri. I luoghi della lettura 2008 l’appello è rivolto a enti, istituzioni, associazioni, biblioteche e, in generale, a tutti coloro che lavorano per promuovere il libro e la lettura sul territorio. La campagna intende, infatti, dare visibilità a tutte le manifestazioni dedicate alla lettura e ai libri che si svolgono sul territorio italiano tra l’1 e il 31 ottobre 2008, nelle sedi più varie (piazze, teatri, scuole, centri per la terza età, strutture ospedaliere, comunità religiose, carceri, ecc) e nelle forme più diverse (notti bianche letterarie, distribuzione di un libro a tutti i cittadini, book crossing, incontri con autori, cene letterarie, tornei sportivi a ispirazione letteraria, ecc).
L’iniziativa e tutti i dettagli dell’evento dovranno essere comunicati alla segreteria organizzativa del Centro per il Libro, entro il 10 luglio 2008, utilizzando il modulo di adesione da compilare e inviare, con il relativo progetto, all’indirizzo e-mail iluoghidellalettura@exlibris.it e per posta a Ex Libris Comunicazione,Via Palazzo di Città 21 – 10122 Torino.
www.ilpianetalibro.it

Ogni luogo è un possibile luogo di lettura. Basta vederlo.

venerdì 4 luglio 2008

Scrivere



La dovrei raccontare la mia vita. Lo fanno tante donne e le stampano, si parla di loro e mettono su boria e il mio libro sarebbe più interessante delle loro cazzate; ho dovuto sputar sangue ma ho vissuto e senza trucchi senza falsitàSimone de Beauvoir – Una vita spezzata



Idea di tanti è che, se si mettessero a scrivere, avrebbero sicuramente argomenti più interessanti degli autori pubblicati.
Se è davvero così, perché non ci provano?
Si comincia con semplicità, raccogliendo impressioni elementari su argomenti comuni.
Oppure raccontando un episodio della propria vita, come alle elementari, quando si scrivevano i temi, “racconta la tua estate”, “descrivi il pranzo di Natale”…
“Se raccontassi la mia vita, sarebbe un bel romanzo” e allora raccontala, ma forse preferisce viverla, e male non fa.
Non credo che si debbano ricercare termini forbiti per le comuni riflessioni
… “e come il vento odo stormir tra queste foglie”
… il mio professore di italiano al liceo mi invitava sempre a leggere affinché i miei temi riuscissero più armonici…
non sapeva che già allora avevo una media di un libro a settimana e che se scrivevo come scrivevo era solo colpa dei libri.
Non si dovrebbero leggere troppi libri se si vuole scrivere, imbastardiscono il linguaggio e riempiono la testa di fantasie letterarie che è meglio non avere.
Chi vuole scrivere deve scrivere
… e basta
Poco importa la grammatica, poco importa se le espressioni escono un po’ crude, Hemingway fu tante volte criticato per il suo modo imperdonabilmente giornalistico di scrivere eppure ha fatto la sua strada, più di Tolkien che, professorone d’università, viene ora ricordato solo perché scrisse un libro, che pochi davvero lessero, dal quale fu tratta una trilogia cinematografica.
Un altro mio professore di liceo, liceo ginnasio questa volta, raccontò in classe che conosceva una vecchietta, incolta, priva della più rudimentale istruzione, non votava perché non riconosceva i simboli e si firmava con una X. Ma dentro le fluiva sereno il fiume della poesia, poesia dei suoi campi arati, forse, delle vendemmie di Bardolino, forse, di aria fresca e giornate d’estate. Immagini le sgorgavano direttamente dal cuore e il mio professore si limitava semplicemente a stenderle su carta, e forse adattarle per la lingua, poco poco, quanto bastava, per non perdere quella sua splendida semplicità.
Perciò scrivi se vuoi scrivere ma sta’ zitto se non hai il coraggio di prendere la penna in mano.
Non c’è niente di più fastidioso della presunzione senza fondamento.
Io non scrivo: ho la presunzione di ritenere di aver letto troppo.
E poi, se altri già scrivono, perché sforzarsi di fare un lavoro che viene già perfettamente eseguito senza la mia partecipazione?
Meglio goderne i frutti, come Bacco, senza sforzo.

Foto: Dante, lui sì che aveva qualcosa da scrivere,

giovedì 3 luglio 2008

Elisa


MILANO - Il sogno di sbarcare con la sua musica in Nord America era da sempre chiuso in un cassetto che non osava aprire. Ma Elisa, ci ha insegnato che bisogna sognare di essere un cigno e prima o poi, qualcosa viene. A lei il sogno americano le è piombato addosso per caso, grazie ad iTunes, dove con il passaparola ha venduto 80 mila copie del singolo «Dancing». Da qui, è nato il progetto di un disco che raccoglie le canzoni che lei vorrebbe far ascoltare ai suoi idoli. Il titolo è «Dancing» e uscirà in Usa, il 15 luglio e in Canada, il 19 agosto. A novembre promuoverà l’album in una tournée per 16 club americani.
Corriere della Sera 02 luglio 2008

E' bellissimo quello che internet può dare, lo dico proprio io che ho scoperto molto tardi questo strumento, che lo ho vituperato a lungo perchè non sapevo come utilizzarlo ma che proprio qui sto trovando uno scopo alle mie letture.
Che senso ha acquisire conoscenza se poi non la si mette a frutto, leggere per passione se poi non se ne fa nulla.
Ho creduto, a lungo, che mi potesse bastare tenere per me le riflessioni, le note, gli appunti, quel diario che da anni utilizzo per annotare le parole che più mi hanno colpita e i pensieri che ne sono scaturiti.
Non bastava più.
Questo potente mezzo dà a chiunque il modo per farsi ascoltare, fosse solo da una persona sconosciuta, ha realizzato il sogno di una cantante lì dove le potenti case discografiche non hanno potuto.
Chi ha un minimo di interesse per la danza sa che "Dancing" era già stata utilizzata per la colonna sonora di "A time for dancing" e che altre sue canzoni, in lingua inglese si possono ascoltare in altri film.
Viene forse da ripensare il ruolo stesso delle case editrici: il video su You Tube è stato visto 1milione di volte, il singolo ha venduto 80mila copie.
Chi deve oggi ringraziare Elisa?
Forse la sua casa editrice che, forte del cartello, si scaglia contro la musica scaricata?
Sono i dischi che portano a scaricare musica o la musica scaricata a far comprare i dischi?
Cosa è più importante? Il contenuto, la musica, o il suo contenitore, il cd?
Nel diciannovesimo secolo i compositori come Bellini e Donizetti si indignavano e infuriavano perché le arie delle loro opere venivano strimpellate fuori dai teatri da suonatori mendicanti ma non ha forse questo contribuito a creare loro fama? A diffondere le loro opere? A spingere un pubblico più vasto ad assistere alle loro rappresentazioni?
Non ha forse questo contribuito alla loro immortalità?
Oggi ero in spiaggia e, apprestandomi a fare un bagno, ho sentito un cellulare che squillava intonando un'aria della Carmen di Bizet (Toreador en garde, Toreador, Toreador...". E' possibile che il possessore del telefonino l'avesse scelta solo perché gli piaceva la musichetta... ma è anche possibile che sapesse di cosa si trattava, è possibile che qualcun altro abbia memorizzato incosciamente il motivetto molto musicale, è possibile che lo abbia ritrovato per caso suonato alla televisione, che si sia incuriosito e che sia finito per trovarsi seduto su una poltroncina di teatro a vedere la Carmen, senza nemmeno immaginare che la sua curiosità era nata al mare.
Magari non è così ma mi piace pensarlo, mi piace pensare alla casualità dell'informazione, mi piace pensare che ci siano persone curiose che ricercano la fonte del loro piacere, un po' come il processo contrario del rumours: io dico a te, che dici a lei, che dice ad altri... e il messaggio si altera, il canale si allarga lasciando passare le interferenze. La parte divertente è quella della ricostruzione del messaggio originale, della fonte originale.
Quando da adolescente si era sparsa la voce che io avevo tradito il ragazzo con cui stavo mi ricordo che ho preso un grande piacere nella ricerca della fonte primaria di tale voce e una soddisfazione ancora maggiore nel trovarla, afferrarla alla gola e sbugiardarla di fronte a tutti. E' stato sicuramente meglio per me così piuttosto che convincere tutti a uno a uno, meno fatica e miglior risultato.
Comunque...
congratulazioni Elisa e in bocca al lupo.

Foto: Carmen, (locandina estratta dal sito www.festivalopera.it)

Prigioni



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Illudermi
ripingendo il passato
sforzarmi
a tenere gli occhi sul tempo felice che non era più
Ma, oh Dio, quante volte
dopo aver rappresentato
con amatissimo quadro
un tratto della mia più bella vita
dopo avere inebbiata la mia fantasia
fino a parermi ch'io fossi con le persone a cui parlava
mi ricordava repentinamente del presente
e inorridiva.
Silvio Pellico – Le mie prigioni

Ingrid Betancourt è stata liberata.
Ingrid Betancourt ha trascorso sei anni di prigionia.
Ingrid Betancourt è stata liberata.
I criminali in carcere hanno l’ora d’aria, hanno il conforto dei familiari, hanno la radio, la televisione, i libri, possono conquistarsi un’istruzione…
Silvio Pellico aveva quattro mura di grossa pietra, freddo in inverno, caldo in estate e umido sempre.
Il suo solo conforto era un libro, un libro come tanti, con tante pagine.
Era il suo solo compagno di cella, supporto nella solitudine.
E’ incredibile quanto mondo possa essere racchiuso nella dura copertina di un libro.
Chi sa se Ingrid Betancourt aveva un libro con sé.
L’avrebbe aiutata a sentirsi meno prigioniera.

Foto: Torre di Londra